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Non costituisce una discriminazione diretta la norma interna di un'impresa che vieta di indossare in modo visibile qualsiasi segno politico, filosofico o religioso. Lo ha deciso la Corte di Giustizia Europea, chiamata a pronunciarsi su due casi, avvenuti in Francia e in Belgio, entrambi riguardanti il diritto di indossare il velo islamico sul posto di lavoro. La Corte - nella sentenza - rileva però che il divieto "può invece costituire una discriminazione indiretta qualora venga dimostrato che l'obbligo apparentemente neutro da essa previsto comporta, di fatto, un particolare svantaggio per le persone che aderiscono ad una determinata religione o ideologia. Tuttavia, tale discriminazione indiretta può essere oggettivamente giustificata da una finalità legittima, come il perseguimento, da parte del datore di lavoro, di una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa nei rapporti con i clienti, purché i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari", Come si legge nel testo della sentenza è prevista tuttavia una forma di discriminazione "indiretta" nel caso in cui venga dimostrato che «l'obbligo apparentemente neutro da essa previsto comporta, di fatto, un particolare svantaggio per le persone che aderiscono a una determinata religione o ideologia. Tale discriminazione indiretta può essere oggettivamente giustificata da una finalità legittima, come il perseguimento, da parte del datore di lavoro, di una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa nei rapporti con i clienti, purché i mezzi impiegati per il conseguimento di tale finalità siano appropriati e necessari».