La Corte internazionale di giustizia, il massimo tribunale delle Nazioni Unite ha dichiarato che la politica di insediamento di Israele in Cisgiordania e a Gerusalemme Est viola il diritto internazionale, esprimendo un parere consultivo non vincolante sulla legalità dell’occupazione israeliana, che dura da 57 anni, delle terre che si vogliono destinare a uno Stato palestinese. Una sentenza che potrebbe avere più effetto sull’opinione pubblica internazionale che sulle politiche israeliane. Il presidente della Corte, Nawaf Salam, ha letto per circa un’ora il parere completo della commissione, composta da 15 giudici provenienti da tutto il mondo. 

«Gli insediamenti israeliani in Cisgiordania e Gerusalemme Est, e il regime ad essi associato, sono stati istituiti e sono mantenuti in violazione del diritto internazionale», si legge nella decisione. 

La Corte ritiene che le violazioni da parte di Israele del divieto di acquisizione di territorio con la forza e del diritto del popolo palestinese all'autodeterminazione «hanno un impatto diretto sulla legalità della permanenza di Israele nei territori palestinesi occupati. Il continuo abuso da parte di Israele della sua posizione di potenza occupante, annettendo e imponendo un controllo permanente sui territori palestinesi occupati, nonché privando continuamente il popolo palestinese del diritto all’autodeterminazione, viola i principi fondamentali del diritto internazionale e rende la presenza di Israele in illegali i territori palestinesi occupati – si legge nella decisione -. Questa illegalità si applica all’insieme del territorio palestinese occupato da Israele nel 1967. Si tratta dell’entità territoriale in cui quest’ultimo ha imposto politiche e pratiche volte a minare e ostacolare la capacità del popolo palestinese di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione. determinazione, estendendo la propria sovranità su vaste aree di detta entità in violazione del diritto internazionale».

L'intero territorio palestinese occupato, prosegue la pronuncia, «è anche il territorio rispetto al quale il popolo palestinese dovrebbe poter esercitare il proprio diritto all'autodeterminazione e la cui integrità deve essere rispettata. Tre partecipanti hanno sostenuto che alcuni accordi conclusi tra Israele e Palestina, compresi gli accordi di Oslo, riconoscono il diritto di Israele a mantenere la sua presenza nei territori palestinesi occupati, in particolare per soddisfare i suoi bisogni e obblighi in materia di sicurezza. «La Corte osserva che questi accordi non autorizzano Israele ad annettere parti dei territori palestinesi occupati per soddisfare queste esigenze. Inoltre non lo autorizzano a mantenere una presenza permanente nei territori palestinesi occupati per lo stesso scopo. La Corte sottolinea che la conclusione secondo cui il mantenimento della presenza di Israele nei territori palestinesi occupati è illegale non libera tale Stato dagli obblighi e dalle responsabilità che il diritto internazionale, e più in particolare il diritto di occupazione, gli impone nei confronti della popolazione palestinese e di altri Stati per quanto riguarda l'esercizio dei loro poteri riguardo al territorio in questione fino alla cessazione della loro presenza in esso. È il controllo effettivo di un territorio, indipendentemente dal suo status giuridico ai sensi del diritto internazionale, che costituisce la base della responsabilità dello Stato per le sue azioni che colpiscono la popolazione di quel territorio o di altri Stati».

Per tale motivo, la Corte ha concluso che «le politiche e le pratiche di Israele» violano il diritto internazionale. «Il mantenimento di queste politiche e pratiche costituisce un atto illecito di natura continuativa che impegna la responsabilità internazionale di Israele. La permanenza di Israele nei territori palestinesi occupati è, dunque, illegale. La Corte «esaminerà pertanto le conseguenze legali derivanti dalle politiche e dalle pratiche di Israele», nonché «quelle derivanti dall'illegittimità della continua presenza di Israele nel territorio occupato palestinese, per Israele, per gli altri Stati e per le Nazioni unite».

L’occupazione della Palestina è, dunque, illegale, un atto «che impegna la responsabilità internazionale» di Israele. «Si tratta di un atto illecito continuo causato dalle violazioni da parte di Israele del divieto di acquisizione di territorio con la forza e del diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese attraverso le sue politiche e pratiche. Di conseguenza, quest’ultimo ha l’obbligo di porre fine alla sua presenza nei territori palestinesi occupati il ​​più rapidamente possibile». Israele è inoltre tenuto ad abrogare tutte le leggi e le misure che creano o mantengono la situazione illegale, comprese quelle che discriminano il popolo palestinese nei territori palestinesi occupati, nonché qualsiasi misura intesa ad alterare la composizione demografica di qualsiasi parte di questo territorio. Ha, inoltre, «l’obbligo di risarcire integralmente il danno causato dai suoi atti illeciti a livello internazionale a tutte le persone fisiche o giuridiche interessate». La Corte richiama il principio essenziale secondo cui «la riparazione deve, per quanto possibile, cancellare tutte le conseguenze dell’atto illecito e ripristinare lo stato che probabilmente sarebbe esistito se detto atto non fosse stato commesso».

Furibondo il commento del premier israeliano Benjamin Netanyahu. «Il popolo ebraico non è un conquistatore nella propria terra, né nella nostra eterna capitale Gerusalemme, né nella terra dei nostri antenati in Giudea e Samaria - ha affermato in un post su X -. Nessuna falsa decisione all’Aja distorcerà questa verità storica. La legalità dell’insediamento israeliano in tutti i territori della nostra patria non può essere contestata».