PHOTO
Venezia
Crisi sanitaria o no, la Corte d’Appello di Venezia continua a celebrare le udienze in materia di protezione internazionale sullo status di rifugiato. Si tratta dell’unico ufficio d’Italia: tutte le altre corti hanno rinviato queste cause considerandole non urgenti, e lo stesso ha fatto anche lo stesso tribunale ordinario di Venezia.
La prassi della Corte d’Appello è stata stigmatizzata dalla Camera degli avvocati immigrazionisti del Triveneto, che ha ripetutamente segnalato alla presidente della Corte d’Appello il disagio che questa scelta sta causando ai legali, chiedendo che anche Venezia si conformi all’orientamento maggioritario. «Quella della Corte d’Appello di Venezia è una scelta incomprensibile: va in controtendenza non solo rispetto agli omologhi uffici di Trento e Trieste, solo per prendere in considerazione il territorio del Triveneto, ma anche e soprattutto con la Corte di Cassazione”, che ha cancellato dal ruolo tutte le udienze di questo tipo, ritenendole non urgenti», ha commentato il presidente della Cait, Enrico Varali. In disaccordo con l’orientamento nazionale, infatti, la Corte d’Appello di Venezia ha ritenuto di far rientrare le udienze in materia di protezione internazionale tra i procedimenti che, se non celebrati, arrecano pregiudizio per le parti.
Tesi non condivisibile, ha spiegato Varali, in quanto «i procedimenti pendenti innanzi alla Corte sono quelli ante novella Decreto Minniti per i quali, secondo l’orientamento costante, l’impugnazione della decisione di primo grado sospende automaticamente l’ordinanza impugnata cosicché il cittadino straniero ha diritto a rimanere regolarmente in Italia e a godere dei diritti connessi dello status di richiedente asilo e nemmeno lo Stato subisce alcun pregiudizio, perché proprio le disposizioni impartite dal Ministero dell’Interno, che ha sospeso le audizioni innanzi alle Commissioni territoriali e il presidio presso i Centri di accoglienza, testimoniano della priorità, in questo momento, di mantenere il controllo sanitario su tutta la popolazione residente».
Il pregiudizio, dunque, sembra essere solo quello arrecato al diritto di difesa del migrante, perchè «in seguito alle misure sanitarie, è obiettivamente impossibile per l’avvocato ricevere il proprio assistito per verificare la completezza della documentazione acquisita e discutere le scelte difensive, così come la compulsazione degli atti depositati da controparte in cartaceo presso le cancellerie della Corte» .
Non solo, la mancata adesione alla richiesta dell’avvocatura da parte della Corte d’Appello di Venezia sta gravando in modo significativo sui legali veneti, visto che l’Ufficio veneziano raccoglie tutto il contenzioso della regione. «Io per primo posso segnalare l’episodio di una collega risultata positiva al coronavirus e quindi in quarantena, con il fascicolo non accessibile presso il suo ufficio. Ho depositato io per lei istanza di rinvio dell’udienza in ragione di impedimento oggettivo, ma nulla è stato risposto dalla Corte d’Appello e quindi non è dato sapere ad oggi che cosa sia accaduto il giorno dell’udienza», ha aggiunto Varali. Lo stesso è accaduto anche in altri casi, per esempio quelli di «un’avvocata in gravidanza e una asmatica, entrambe impossibilitate a spostarsi per prendere contatti col cliente ed esercitare la loro funzione difensiva. Anche la loro richiesta di rinvio non risulta stata presa in considerazione». Anche in questo caso, è possibile che il collegio giudicante - riunito in via telematica in camera di consiglio - abbia recepito la richiesta di rinvio, ma nulla è stato comunicato.
Tutti episodi, questi, che hanno esacerbato gli animi dell’avvocatura veneta che si occupa del settore. Anche perché, come è stato evidenziato in una missiva inviata alla presidente della Corte d’Appello, si tratta di udienze che «prevedono la compresenza in condizioni di promiscuita` in aule non sufficientemente areate e nei prospicenti corridoi, oltre che del collegio giudicante e dei cancellieri, anche di decine di colleghi chiamati nel medesimo ruolo o in orari ravvicinati e che impongono, altresi` il necessario trasferimento dei professionisti anche da fuori regione o provincia verso Venezia, con conseguente maggior rischio di esposizione e veicolazione del virus».
Della questione la Cait ha investito anche il Cnf, che il 2 aprile ha assunto una delibera in cui ha sottolineato come «le limitazioni all’esercizio delle attività professionali e alla stessa libertà di circolazione incidono significativamente sul concreto esercizio della difesa tecnica» e ha auspicato che lo svolgimento dell’attività giudiziaria e le esigenze di difesa tecnica «possano trovare adeguato contemperamento».
Ad oggi, la Corte d’Appello di Venezia non ha dato alcuna indicazione di voler modificare la propria prassi di fissazione delle udienze. Questa scelta, in controtendenza anche rispetto volontà di cooperazione tra avvocatura e magistratura nel periodo di crisi, si incardina in una situazione da tempo problematica. In materia di protezione internazionale, infatti, la Corte d’Appello veneta detiene il record di un numero di rigetti che si aggira attorno al 98%, con sistematico rigetto anche della richiesta di patrocinio a spese dello Stato.
E ora il malcelato obiettivo sembrerebbe quello di sfruttare questa fase di emergenza per smaltire l’arretrato in questo particolare settore del contenzioso civile.