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A volte, gravi eventi atmosferici, per altri versi più o meno drammatici, possono generare conseguenze inaspettatamente positive. Così, nel gennaio 2014, un fortunale si abbatte sugli immensi magazzini di Castelnuovo di Porto, nei pressi di Roma, danneggiando molti libri ivi depositati dalla biblioteca di Palazzo Montecitorio e le carte di archivio di Silvio Furlani, bibliotecario della Camera dal febbraio 1963 ( ma di fatto già dal luglio 1959) al 31 dicembre 1981. I danneggiamenti impongono l’intervento del personale della biblioteca e in questo modo Fernando Venturini si trova davanti un mondo poco esplorato e affascinante.
Nasce da qui una ricerca imponente ( oltre 400 pagine), ben documentata, con un’avvincente appendice fotografica, che l’autore, da trent’anni consigliere parlamentare presso la biblioteca della Camera, racconta con dovizia di particolari e con sicuro approccio multidisciplinare, tra biblioteconomia e storia delle istituzioni: Libri, lettori e bibliotecari a Montecitorio, Padova, Cedam.
La peculiarità dei lettori per i quali nasce la biblioteca – i deputati – determina caratteristiche tutte particolari del patrimonio librario che vi si accumula e delle persone chiamate ad acquisirlo e sistemarlo. La biblioteca è coeva alla nascita del Parlamento piemontese, dopo la “concessione” dello Statuto albertino: i deputati, appena insediatisi, hanno chiara coscienza che l’acquisizione di fonti autonome di conoscenza e di documentazione è fondamentale per l’esercizio delle loro funzioni. Inizia così la storia di un’istituzione che nasce sostanzialmente autonoma dalla struttura organizzativa della Camera e mantiene a tutt’oggi una propria connotazione. Alcuni deputati hanno esercitato un ruolo determinante nel tratteggiarne la fisionomia e le specificità e nella scelta dei bibliotecari ( il primo fu Leonardo Fea, cui succedette il figlio Pietro). Da subito il “governo” della biblioteca è affidato a commissioni di vigilanza a fisionomia variabile, ma sempre composte da deputati: le loro vicende sono sintetizzate alle pagine 405 e 406; seguono gli elenchi dei deputati coinvolti nel succedersi delle commissioni, prima nominate all’inizio di ogni sessione e poi all’inizio di ciascuna legislatura. Si distinguono, per durata nella carica e ruolo svolto, alcuni deputati, tra i quali Pietro Luigi Albini, Angelo Messedaglia, Filippo Mariotti (“deputato bibliotecario”), Luigi Luzzatti ( dal dicembre 1892 quasi senza interruzioni all’aprile 1921), Giacomo Acerbo e, in età repubblicana, Igino Giordani, che passò da componente della commissione di vigilanza a consulente tecnico retribuito. A loro va accostato Giacomo Matteotti, assiduo frequentatore della biblioteca, ove si recò anche il giorno del suo rapimento ( martedì 10 giugno 1924).
L’apporto dei deputati è fondamentale nell’indirizzare le scelte della biblioteca circa i libri e le riviste da acquisire, la localizzazione e l’apertura al pubblico, la spiccata propensione allo studio dei sistemi istituzionali di altri Paesi, soprattutto europei ( con l’aggiunta degli Stati Uniti), fino alla nascita, sul finire degli anni venti, dell’Osservatorio sulla legislazione straniera ( ancora oggi vanto della Camera). Nelle prove selettive per l’assunzione dei funzionari di biblioteca si dà quindi grande peso alle lingue straniere: non pochi tra gli assunti sono veri e propri poliglotti, “con capacità linguistiche prodigiose ma spesso con interessi culturali lontani dal background giuridico, politico e storico che rappresentava – e rappresenta tuttora – il legame profondo con l’istituzione parlamentare, i suoi meccanismi di funzionamento ed i suoi valori” ( pag. 175). L’esempio tipico in questo senso è rappresentato da Giuseppe Tucci, che ebbe una breve permanenza nella biblioteca della Camera e una lunga vita di “inarrivabile accademico” e “avventuroso esploratore” ( pagg. 174- 175), invero macchiata dall’adesione al fascismo, dalla partecipazione alla “Commissione per lo studio dell’ebraismo”, istituita nel 1938 in seno all’Accademia d’Italia ( Gioacchino Volpe ed Angelo Gatti, per esempio, rifiutarono la nomina) e dalla probabile adesione al “Manifesto della razza”. La parte finale del libro è dedicata a due temi che innervano lo studio di Venturini: l’integrazione della biblioteca nel sistema della documentazione e il trasferimento della biblioteca da palazzo Montecitorio al palazzo di San Macuto, che segna anche l’apertura generalizzata al pubblico. Siamo nel 1988 e il libro si ferma pudicamente qui, per non sconfinare nella cronaca e nell’autobiografia. Il capitolo conclusivo apre però uno squarcio sul presente e sul futuro delle biblioteche parlamentari, raccontando la rivoluzione tecnologica, utilizzata dalle biblioteche della Camera e del Senato ( unitamente al trasferimento in sedi contigue, nello stesso palazzo) anche per integrarsi in un grande polo bibliotecario, modello ( perfettibile) cui dovrebbero tendere in generale le amministrazioni delle due Camere, rafforzando le reciproche sinergie per meglio raccogliere le sfide che i Parlamenti devono affrontare in tutto il mondo.