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Assumono sempre più un aspetto da sfida all’Ok Corrall i vari “gate” che accerchiano il presidente statunitense Donald Trump. Che si tratti del Russiagate o del Kievgate, quel che si vede è che i fuochi si stanno riaccendendo e che soprattutto hanno cominciato a dilagare oltre confine ( Italia inclusa), imboccando un corso che non si sa dove possa portare.
All’impeachment, sostengono e sperano i Democratici, che in questo momento spingono come non mai, sull’onda della telefonata di Trump che ha aperto il fronte di Kiev. E lo dimostra il fatto che i Dem hanno riattizzato il fuoco anche sul fronte Russiagate, la prima inchiesta che sembrava arenata. Il partito dell’asinello ora conta sul vantaggio alla Camera e sul sostegno più o meno esplicito anche di alcuni indipendenti e repubblicani non trumpiani ( ma bisogna vedere fino a dove si vorranno spingere) e per questo intendono votare l’impeachment di Trump alla Camera dei Deputati entro novembre.
Il Senato d’altra parte – controllato dai Repubblicani – ha già comunicato che non intende aprire autonomamente la procedura a meno che prima non sia stata votata dalla Camera. Intanto per alimentare il fuoco arrivano altre indiscrezioni sul Russiagate e soprattutto sull’uso della diplomazia e dell’apparato governativo da parte di Trump per sostenere la propria difesa, che poi è il tema più pericoloso per il presidente. È in quest’ambito che giungono le nuove rivelazioni: il ministro della Giustizia americano, William Barr, avrebbe chiesto all'Italia e ad altre nazioni di aiutare l'amministrazione Trump a fare chiarezza sulle origini del Russiagate e in particolare sull'operato di Fbi e Cia nelle elezioni del 2016.
L’Italia sarebbe coinvolta per il ruolo giocato dal maltese Mifsud all’origine del Russiagate e per i rapporti di costui con Hillary Clinton. In questo modo Trump continua nella sua strada di voler screditare le indagini dell'ex procuratore speciale Robert Mueller, ma apre il fronte delle pressioni diplomatiche che stanno costando al presidente i problemi legati alla telefonata col suo omologo ucraino, mentre il ministro della Giustizia avrebbe avuto ripetuti incontri riservati con esponenti di intelligence straniere per tutelare gli interessi di Trump. Pressanti richieste sarebbero state rivolte in particolare anche all’Australia.
Intanto a Roma c’è Pompeo, anche lui di recente sulla graticola per essere stato presente alla telefonata di Trump con Zelensky. Entrambe le squadre dunque schierano sempre più l’artiglieria pesante, come si vede anche nella vicenda della talpa che ha rivelato la telefonata: mentre apparati statali come l’Fbi tengono sotto protezione l’informatore per proteggerlo da chi se non dal loro presidente, Trump conferma che sta facendo di tutto per scoprire chi sia questa talpa. E intanto auspica che il presidente della Commissione Intelligence sia arrestato per tradimento.