PHOTO
In this photo released by the official website of the office of the Iranian supreme leader, Supreme Leader Ayatollah Ali Khamenei gestures as he delivers his sermon during Friday prayers at Imam Khomeini grand mosque, in Tehran, Iran, Friday, Oct. 4, 2024. (Office of the Iranian Supreme Leader via AP)
Erano cinque anni che Alì Khamenei non predicava in pubblico. Lo ha fatto, fucile alla mano, nella grande moschea di Teheran davanti a migliaia di seguaci entusiasti, celebrando la preghiera del venerdì e lanciando strali contro il nemico di sempre. Negli ultimi giorni si era nascosto in un bunker della capitale nel timore che l’aviazione israeliana potesse averlo nel mirino, un’eventualità tutt’altro che peregrina considerando i recenti omicidi mirati del leader politico di Hamas Ismail Hanyeh e dello storico capo di Hezbollah Hassan Nasrallah tra i maggiori proxy della repubblica sciita. Presentarsi ai fedeli brandendo un arma con parole focose e ispirate è un modo per affermare forza e coraggio in uno dei momenti più critici della storia recente dell’Iran. L’ossessione della debolezza e dell’irrilevanza è infatti una costante della leadership iraniana che tenta con ogni mezzo di lanciare bellicosi messaggi agli avversari e, allo stesso tempo, di confortare propri alleati con atti dimostrativi. Uscendo allo scoperto e battendosi il petto la Guida suprema dell’Iran dichiara terminata la strategia della «pazienza strategica», una dottrina diplomatica che vede nell’attendismo e nella deterrenza nucleare gli strumenti per aumentare la propria influenza e la propria egemonia politica e militare.
Poi rivendica con orgoglio il lancio dei 181 missili balistici sulle città israeliane di martedì scorso, definito «giusto e legittimo» nonché «una punizione minima» in risposta «ai crimini di un regime tirannico e vampiro». E lancia nuove tonanti minacce verso l’odiato Stato ebraico: «L’azione intrapresa dalle nostre forze armate è stata solo una piccola azione rispetto ai crimini commessi dal nemico e se necessario, in futuro, lo colpiremo di nuovo e in modo molto più pesante».
Esplicito in tal senso l’invito a tutti i musulmani a unirsi alla lotta contro Israele: «Dall'Afghanistan allo Yemen, dall'Iran a Gaza e al Libano abbiamo tutti un nemico comune da cui siamo costretti a difenderci».
In realtà, più che le nazioni musulmane in senso lato, Khamenei chiama in causa il cosiddetto “asse della resistenza”, ovvero quei Paesi e quei gruppi alleati di Teheran nella battaglia contro Tel Aviv esponenti o sodali della repubblica sciita. Anche perché la gran parte dell’islam sunnita, dall’Arabia Saudita all’Egitto non solo non è in guerra con Israele, ma vede nel regime degli ayatollah il primo avversario politico. Gli accordi di Abramo certificano più di ogni demagogica esternazione questa realtà e questi rapporti di forza all’interno del mondo musulmano. Parole al vetriolo anche per gli Stati Uniti che sfrutterebbero l’alleanza con Israele come «una copertura per la loro politica di monopolizzazione delle risorse della regione»
Tra i passaggi più significativi del sermone di Khamenei ci sono i riferimenti ai massacri del 7 ottobre in cui morirono oltre 1100 ebrei per mano dei miliziani di Hamas, un’azione che ha innescato la guerra e i terribili bombardamenti della Striscia di Gaza e che la Guida suprema definisce con candore «un eroico atto resistenza».
E mentre la comunità internazionale attende con angoscia l’annunciata e inevitabile rappresaglia dello Stato ebraico contro l’Iran, in Libano la situazione sembra precipitare. I caccia dell'aeronautica militare israeliana hanno sganciato durante la notte di giovedì circa 73 tonnellate di bombe sul sobborgo di Dahieh, alla periferia sud di Beirut, la roccaforte di Hezbollah. Lo scrive il sito di Ynet affermando che l'attacco aveva come obiettivo il bunker dove si nasconderebbe il presunto possibile nuovo leader del “Partito di Dio” Hashem Safieddine.
Negli ultimi giorni, le Forze di difesa israeliane hanno comunque ucciso 250 «terroristi di Hezbollah» nel sud del Libano. Inoltre da quando è iniziata la “limitata incursione” di terra sono stati colpiti oltre duemila obiettivi militari, tra cui infrastrutture, edifici militari, depositi di armi e siti per il lancio dei razzi. Tra combattenti uccisi anche cinque comandanti di battaglione, dieci di compagni e sei comandanti di dipartimenti.
Stando all'Idf, le capacità militari di Hezbollah sono state danneggiate, ma l'organizzazione è ancora in grado di sferrare attacchi contro il fronte interno israeliano. Ci vorranno diverse settimane prima che i residenti delle regioni settentrionali di Israele possano rientrare nelle loro case la stima fatta dalle Forze di difesa di Israele, con una precisazione: anche allora, l'Idf non sarà in grado di garantire che non ci saranno nuovi attacchi con o missili.