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Quando nel 1975 Juan Carlos prestò giuramento davanti l’Assemblea spagnola il leader comunista Santiago Carrillo gli aveva affibiato un soprannome di rara perfidia: Juan el breve, convinto che quel monarca senza personalità sarebbe durato molto poco, spazzato via assieme agli altri cascami del franchismo. Sei anni dopo, nel febbraio del 1981, lo stesso Carrillo non esita a esclamare: «Che Dio protegga il re!». Pochi giorni prima il colonnello Antonio Tejero era entrato con un manipolo di militari in Parlamento, esplodendo diversi colpi d’arma da fuoco; una scena terribile, trasmessa in diretta tv e rimasta negli occhi di tutti gli spagnoli.
L’intervento di Juan Carlos è decisivo, in un discorso alla nazione il re intima ai vertici delle forze armate di difendere la democrazia e di isolare i golpisti. I partiti di sinistra e repubblicani salutano quel discorso come una pietra miliare della storia moderna del Paese. Al punto da stringersi tutti attorno alla monarchia, o meglio attorno al sovrano; secondo una definizione all’epoca molto in voga gli spagnoli non si definiscono monarchici, ma semplicemente “juancarlisti”.
Non ci aveva visto lungo il buon Castillo; il regno di Juan Carlos è durato infatti quasi quarant’anni, fino al 2014, quando ha abdicato a favore del figlio Felipe VI. Altro che Juan el breve.
È stato il garante della transizione tra la dittatura del caudillo Francisco Franco e la democrazia, lo ha fatto con lungimiranza e abilità politica, comprendendo che il franchismo era ormai una vestigia del passato e riuscendo a includere nel processo tutte le forze politiche fino alla Costituzione del 1978. Alla morte di Franco si è autoproclamato re di Spagna e in moltivedevano in lui , se non proprio una sovrano autoritario, un palese intralcio alla modernizzazione di una Spagna rimasta isolata dall’Europa per oltre mezzo secolo.
Una reggenza, quella di Juan Carlos, accompagnata da molte luci e da alcune ombre che sul finire del sua parabola si sono allungate sempre di più, specie i piccoli grandi scandali che negli ultimi anni lo hanno costretto a farsi da parte.
Da ieri è ufficialmente in esilio, ha lasciato la Spagna con disonore verso una meta sconosciuta, forse Santo Domingo come sussurrano i media. A rendere ancora più malinconica la sua parabola, la moglie Sofia, che non lo ha seguito nel suo mesto tramonto. «È un comportamento vergognoso e una frode dei confronti della nostra giustizia», ha tuonato il leader di Podemos Pablo Iglesias, un pensiero condiviso un po’da tutto il panorama politico iberico. Solamente il figlio Felipe ha salutato la decisione «con profondo rispetto e gratitudine». Frasi di circostanza però, visto che Felipe ha rinunciato alla cospicua eredità paterna per non venire più associato alla sua gestione disinvolta della ricchezza.
Da alcuni mesi Juan Carlos era infatti oggetto di inchieste giudiziarie per evasione fiscale e per corruzione, il Tribunale supremo spagnolo e la magistratura svizzera indagano infatti su dei sospetti conti segreti del vecchio re, sulle società off shore su cui avrebbe depositato presunte tangenti.
Come racconta la Tribune de Genève, in un articolo dello scorso marzo l’occhio degli inquirente si è posato in particolare su una tangente “monstre”, oltre 100 milioni di dollari ottenuti dall’ex re saudita Abdallah per ricompensare lo zelo con cui avrebbe favorito la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità tra La Mecca e Medina ad opera di un consorzio di imprese spagnole. Una parte di questo faraonico compenso sarebbe andato addirittura nelle tasche della sua vecchia amante, Corinna Larsen, una nobile tedesca di origine unghereseche tra le altre cose è stata l’ex consigliera della principessa Charlene di Monaco.
È stata proprio la relazione con la Larsen uno degli elementi che hanno contribuito a sgretolare la popolarità di Juan Carlos, ad assestargli il colpo fatale, non tanto per moralismo, al limite per empatia verso la povera consorte Sofia, senz’altro l lusso sfrenato del loro ménage vissuto dagli spagnoli come un autentico insulto alle loro difficoltà quotidianer.
Nel 2012, quando il Paese affrontava una feroce recessione economica e subiva la pressione costante dei mercati finanziari, il sovrano e la sua amante sono infatti volati in Africa, nel Botswana, dove hanno partecipato a una battuta di caccia all’elefante costata decine e decine di miglia di euro. Alcuni fotografi passarono ai giornali le immagini di quel safari reale e in un batter d’occhio si aprì il vaso di Pandora.
Un’esperienza peraltro molto sfortunata considerando che il sovrano rimediò una brutta frattura all’anca e fu rimpatriato d’urgenza a Madrid per essere operato. L’opinione pubblica venne colpita a fondo da quel monarca che aveva un’agenda privata ( e segreta) di stampo coloniale e che finanziava i suoi divertimenti in modo opaco.
In quell’occasione Juan Carlos provò a respingere i colpi e fece una cosa che nessun re aveva mai fatto prima: si scusò pubblicamente con gli spagnoli: «Ho commesso un grave errore, una leggerezza sono davvero mortificato, ma prometto che questo non succederà più».
Un gesto storico che però non basta più a placare i malumori che ormai serpeggiano anche tra i suoi più fedeli sostenitori. La parabola del re Borbone sembra dunque terminata.
Due anni dopo il viaggio in Botswana arriva l’abdicazione al cospetto del premier popolare Mariano Rajoy in cui rinuncia alla corona lasciando il trono al figlio Felipe. Nel 2019 in una lettera indirizzata proprio a Felipe annuncia il suo ritiro definitivo dalla vita pubblica: «Credo che si venuto il momento di aprire una nuova pagina della mia vita», Peccato che si tratti della pagina più buia.