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«Ha insultato il profeta!». Sono le ultime parole pronunciate dal 18enne russo di origine cecena Abdoullakh Abouyedovich Anzorov prima di venire abbattuto dalla polizia in una stradina di Eragny-sur-oise, sobborgo difficile alla periferia di Parigi. Era il 16 ottobre 2020, qualche minuto prima Anzorov aveva assassinato il professore di storia e geografia Samuel Paty nel più barbaro dei modi: gli aveva tagliato la testa con un coltello giapponese modello santoku. Intercettato dalla volante si è poi scagliato contro gli agenti che hanno aperto il fuoco.
Quattro anni dopo davanti la Corte d’assise di Parigi prende il via il processo ai complici di Anzorov: otto adulti implicati a vario titolo nel meccanismo di delazione che ha portato alla morte dell’insegnante. Lo scorso anno ci sono state le sentenze per i sei minorenni coinvolti (all’epoca dei fatti avevano tra 13 e 15 anni), cinque sono stati condannati per «associazione a delinquere a scopo di violenza aggravata» a pene dai 14 ai 2 mesi: avevano aiutato Anzorov a identificare Paty in cambio di poche centinaia di euro. La sesta persona, condannata per diffamazione a 18 mesi con la condizionale è la ragazzina che, con la sua bugia, innescò il meccanismo infernale. Aveva raccontato alla famiglia di essere stata cacciata dalla propria classe e poi sospesa dalla scuola per motivi religiosi. In un corso dedicato alla libertà d’espressione Paty avrebbe mostrato agli alunni alcune vignette di Charlie Hebdo raffiguranti Maometto, obbligando i musulmani ad abbandonare l’aula. Si trattava chiaramente di una menzogna; Paty non aveva cacciato nessuno ma semplicemente consigliato agli studenti religiosi di voltarsi alcuni secondi per non urtare la loro sensibilità. Inoltre quel giorno la ragazzina non era in classe ma a casa con l’influenza.
Una piccola bugia da adolescente che probabilmente sarebbe rimasta senza seguito se non fossero intervenuti gli adulti, in particolare il padre della giovane Brahim Chnina e l’attivista islamico Abdelhakim Sefrioui, principale responsabile della campagna d’odio lanciata contro il professore.
L’8 ottobre 2020, due giorni dopo la lezione “incriminata”, i due uomini avevano incontrato la direttrice del liceo per chiedere il licenziamento di Paty per «discriminazione religiosa» e per aver mostrato a dei minori «immagini pornografiche». Un colloquio di grande tensione in cui la preside ha difeso il professore spiegando che la ragazzina era stata sospesa per ragioni disciplinari indipendenti dal corso di Paty al quale peraltro non ha mai partecipato. Spiegazioni che non sono servite a nulla. Accecati dal malanimo e dal fanatismo la sera stessa hanno lanciato sui social network una campagna contro l’insegnante, definito «un criminale» e «un bestemmiatore». Il 12 ottobre Sefrioui pubblica un video di insulti contro Paty e il presidente della repubblica Macron accomunati a suo dire dall’ «odio nei confronti dei musulmani», uno sproloquio rancoroso che tira in ballo persino la strage di Srebrenica. In poche ore la calunnia diventa virale, da Facebook a Twitter centiniaia, migliaia le minacce di morte, tra queste anche quella di Anzorov che annota il nome del professore e del liceo in cui insegna. Quattro giorni dopo la macabra esecuzione.
Secondo i giudici di istruzione «la pubblicazione di messaggi e video aveva lo scopo di suscitare un sentimento d’odio», e anche se in nessuna circostanza i due uomini hanno invitato ad assassinare Paty, lo avrebbero gettato in pasto a social «nella piena consapevolezza che potesse diventare un bersaglio». Un omicidio che si è consumato «in un contesto ideologico preciso», lo stesso in cui è avvenuto il massacro nella redazione di Charlie Hebdo e le stragi del Bataclan e dei caffé del novembre 2015. La campagna contro Paty non costituiva semplicemente uno sfogo rabbioso ma «era rivolta a un pubblico radicalizzato e sensibile alla questione delle vignette satiriche».
Alla sbarra anche due amici di Anzorov, Naïm Boudaud Azim Epsirkhanov, accusati di essere al corrente del progetto omicida del ragazzo russo e del suo impegno nel jihad; Boudaud peraltro sarebbe stato presente al momento dell’acquisto del coltello che ha ucciso Paty e lo avrebbe accompagnato a Eragny-sur-oise il giorno del delitto. Entrambi negano di essere stati coinvolti da Anzorov affermando di non sapere nulla del suo piano per assassinare il professore, ma rischiano fino a trent’anni per associazione a delinquere di stampo terrorista.
Infine i quattro imputati “virtuali”, ossia quelle persone per non conoscendo gli intenti specifici di Anzorov, lo hanno «spronatio e confortato» su intenet a compiere la sua ritorsione. Tra loro anche una donna, la 36enne Priscilla Mangel, moglie di un uomo condannato nel settembre 2020 a quattordici anni di carcere per terrorismo di matrice jihadista.