La notizia trapela da fonti interne alla Casa Bianca riportate dal quotidiano statunitense Washington Post. Israele e Hamas avrebbero concordato un piano generale per il rilascio degli ostaggi e quindi per una tregua durevole nella Striscia, ma soprattutto l'accettazione, da entrambe le parti, di un governo ad interim a Gaza da mettere in campo in una seconda fase dei negoziati stessi.

Se le voci provenienti dalla capitale americana avranno un seguito, è ancora presto per dirlo, ma si tratta di più di un semplice spiraglio di pace. Le incognite che pesano sul conflitto sono tuttavia ancora molte e riguardano gli assetti interni sia del governo israeliano che dei rapporti di forza in Hamas. Gli stessi diplomatici impegnati nei negoziati avvertono che, sebbene l'accordo sarebbe in una fase avanzata, un'intesa finale probabilmente non è imminente e ci vorrà ancora tempo per definire tutti i dettagli.

In ogni caso secondo quanto sarebbe stato stabilito, la Striscia di Gaza sarebbe governata da un esecutivo sostenuto dall'Autorità Nazionale Palestinese mentre la sicurezza sarebbe garantita da soldati addestrati dagli Stati Uniti e dai paesi arabi moderati, 2500 uomini dell'ANP.

Questioni dunque di non poco conto a partire dall’elenco dei paesi arabi che saranno coinvolti. Se è facile pensare all'Egitto ( in prima linea nei negoziati) e alla Giordania, è molto più complesso accettare altre nazioni come ad esempio il Qatar, che ha finanziato per anni Hamas e ne ospita i leader anche se è stato sempre parte in causa come mediatore durante i tentativi di intesa degli ultimi mesi. Sullo sfondo anche un possibile ruolo dell’Arabia Saudita che negli anni si e avvicinata a Israele ristabilendo relazioni commerciali e diplomatiche con lo Stato ebraico.

La prudenza rimane comunque d'obbligo come dimostrano le parole pronunciate mercoledì scorso dal portavoce della sicurezza nazionale USA John Kirby, il quale anche senza riferirsi al possibile piano ha detto che gli Stati Uniti sono «cautamente ottimisti» su un’intesa tra Israele e Hamas per una nuova tregua a Gaza e il rilascio degli ostaggi aggiungendo che le distanze tra le due parti possono essere superate: «Le cose stanno andando nella direzione giusta. Ci sono ancora lacune che restano tra le parti ma crediamo che possano essere superate ed è ciò che stanno tentando proprio ora di fare Brett McGurk (uno dei diplomatici, ndr) e il direttore della Cia Bill Burns».

Secondo quanto riportato dal Washington Post l'ostacolo maggiore è stato il passaggio alla cosiddetta Fase 2, in cui Hamas rilascerebbe i soldati maschi rimasti in ostaggio ed entrambe le parti concorderebbero una fine permanente delle ostilità con un ritiro completo delle forze israeliane dal territorio di Gaza. La svolta sarebbe stata costituita proprio dal fatto che sia Israele che Hamas hanno ora invece segnalato la loro accettazione di un piano di governance ad interim che inizierebbe in concomitanza con la seconda fase in cui né Hamas né Israele governerebbero Gaza.

Entrambe le parti dunque sarebbero motivate a porre fine ai combattimenti anche se per ragioni completamente diverse. Israele ha l'esigenza di preparare le sue forze a un possibile confronto con l'Iran e i suoi alleati.

Inoltre sul confine settentrionale con il Libano, le ostilità con le milizie sciite di Hezbollah non sono mai cessate e Tel Aviv vorrebbe riportare nei loro insediamenti le persone costrette a sfollare. Sul fronte opposto dieci mesi di guerra e di bombardamenti contro le sue infrastrutture hanno pesantemente indebolito l'apparato militare di Hamas che sarebbe ridotto in condizioni approssimative drammaticamente a corto di munizioni e rifornimenti.

L'unica certezza è che la guerra al momento è ben lontana dal concludersi in tempi brevi. L’esercito israeliano ha infatti ordinato per la seconda volta dall’inizio della guerra l’evacuazione della popolazione di Gaza City. La conferma che l'area è ancora considerata, come dichiarato dai portavoci militari dello Stato ebraico, una «pericolosa zona di combattimento». Nella città martoriata vivono ancora circa 250 mila persone in condizioni estremamente vulnerabili. L'Unrwa, l'agenzia dell'ONU che si occupa della Palestina, ha messo in evidenza che la situazione peggiore è quella che si vive nelle zone costiere che sono ormai sovraffollate e prossime al collasso.