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E ora cosa succederà? E' questa la domanda che il mondo si sta ponendo a poche ore dall'uccisione, per mano americana, di Qassem Soleimani, il leggendario generale iraniano, capo delle brigate Quds, colpito nei pressi dell'aeroporto di Baghdad mentre viaggiava su un convoglio di auto. L'attacco Usa è stato compiuto da droni che hanno sparato alcuni razzi che hanno centrato i veicoli, provocando la morte anche del numero 2 della milizia paramilitare sciita Hashd Shaabi, Abu Mahdi al-Mohandes. Ad annunciarlo è stato un portavoce del gruppo stesso. Per il Pentagono l'uccisione di Soleimani è stata "un'azione difensiva" per contrastare la presenza iraniana in Iraq soprattutto dopo il tentativo di assalto all'ambasciata statunitense di lunedì scorso. E ora che succederà dunque? Perchè Soleimani era un uomo chiave della strategia di Teheran, la sua morte non potrà passare sotto silenzio e tutti si aspettano una risposta che potrebbe essere tra le più dure. Una prima avvisaglia sta nelle parole pronunciate da chi, solitamente, riveste i panni del mediatore. Il ministro degli Esteri Javad Zarif ha definito l'attacco «estremamente pericoloso. Sugli Stati Uniti ricade la responsabilità di tutte le conseguenze di questo avventurismo criminale». E anche un cosiddetto “riformatore” come il presidente Hassan Rohani ha fatto sentire la sue voce: «'indubbiamente, l'Iran e altri Stati indipendenti vendicheranno questo crimine terribile commesso dagli Stati Uniti». Le prossime ore o giorni saranno dunque cruciali per capire se Usa e Iran si staranno per confrontarsi in una guerra dagli esiti più che imprevedibili e che potrebbe estendersi a tutta l'area del Medioriente. La figura del generale ucciso infatti era troppo importante per Teheran. Soleimani da più parti era visto come un possibile protagonista della vita politica iraniana, è stato protagonista e capo delle operazioni coperte non solo in Iraq ma anche in Siria. Ha sostenuto fattivamente Damasco per sconfiggere le forze ribelli, ha combattuto anche l'Isis in maniera determinante. Una specie di deus ex machina nello scontro tra sunniti e sciiti. Soltanto ieri il Times lo definiva come il Machiavelli del Medioriente capace di determinare il corso degli eventi nel 2020. Per il giornale britannico “... In qualità di capo della Forza al Quds, egli ha realizzato il sogno iraniano di un corridoio terrestre da Teheran al Mediterraneo controllato da milizie leali...”. Intanto in Iran sono stati convocati tre giorni di lutto nazionale durante i quali risuonerà sempre più forte l'appello della Guida Suprema, Ali Khamenei, a prepararsi a una possibile guerra. In questo senso si è riunito in via straordinaria e permanente il Consiglio nazionale supremo della sicurezza e sia i Pasdaran che il comandante delle Unità di mobilitazione popolare sciite irachene (Hashed al-Shaabi), Qais al-Khazali,hanno cominciato i preparativi minacciando in primo luogo il nemico più vicino: Israele. Immediatamente dopo la conferma della morte di Soleimani, Donald Trump ha pubblicato un tweet senza parole dove campeggia solo la bandiera a stelle e strisce. Un messaggio chiaro che non è passato certo inosservato. E sono stati i Democratici, ai massimi livelli, a mostrare tutte le loro critiche sulla decisione di eliminare il generale iraniano. Per la speaker della Camera Nancy Pelosi ha definito il raid «estremamente pericoloso» e che «rischia di provocare una pericolosa ulteriore escalation di violenza. L'America e il mondo non possono affrontare una escalation delle tensioni fino ad un punto di non ritorno». Stesso atteggiamento da parte dello sfidante alla Casa Bianca Joe Biden che ha parlato di «dinamite in una polveriera».