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Nel Golfo Persico- Arabico la situazione è sospesa, ma il conto alla rovescia continua a ticchettare. Nel fine settimana siamo andati davvero vicino alla deflagrazione: dopo l’abbattimento di un drone statunitense da parte della contraerea iraniana ( nello spazio aereo iraniano secondo Teheran, in acque internazionali secondo Washington), Donald Trump è arrivato a ordinare tre bombardamenti aerei sugli impianti missilistici persiani, e lo ha fermato appena 10 minuti prima dell’ora x, a navi schierate e aerei in volo.
Lo ha confermato lui stesso, spiegando che l’Iran era stato avvertito al fine di evitare perdite di vite umane, ma poi quando ha realizzato che ci sarebbero potuti essere comunque 150 morti ha sospeso l’attacco. Sospeso, ha voluto specificare, non annullato. Per cui si tratta di una spada di Damocle che continua a pendere sula regione.
Contemporaneamente gli Stati Uniti avrebbero lanciato un massiccio attacco hacker contro le postazioni missilistiche iraniane, anche se Teheran ha smentito di aver accusato alcuna conseguenza.
Lo strike informatico sarebbe stato programmato in realtà da giorni, come reazione ai sabotaggi delle sei navi e petroliere danneggiate nel Golfo da parte di uomini che per gli statunitensi sarebbero stati iraniani.
Ma il colpo più duro di Washington a Teheran è quello arrivato ieri, con un’ulteriore rafforzamento delle sanzioni economiche che stanno strangolando il Paese, mentre alle Nazioni Unite si è tenuta una riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza.
Il tempo corre non solo perché non è possibile mantenere all’infinito una tensione così estrema, ma anche perché lo stesso Iran ha dato tempo fino a questa settimana per ritirare le sanzioni altrimenti ha minacciato di oltrepassare i limiti di arricchimento dell’uranio previsti dall’accordo sottoscritto con la comunità internazionale e poi ritenuto nullo da Trump.
Quello potrebbe essere il “momento X” che segna un punto di non ritorno, sebbene lo stesso Donald Trump continui ad applicare la tattica che meglio maneggia, quella del bastone e della carota.
Infatti mentre parlava degli attacchi sospesi e di una ipotetica «guerra di distruzione», diceva pure che lui non vuole fare nessuna guerra e anzi il suo mandato è proprio quello di porre fine alle guerre condotte lontano dagli Stati Uniti.
Inoltre la sua Amministrazione ha ribadito a più riprese di essere pronta a colloqui con Teheran senza condizioni, tranne quella che l’obiettivo finale dev’esser quello di avere la certezza che l’Iran non si doterà della bomba atomica.
In realtà più o meno la stessa linea tenuta con la Corea del Nord, con cui di nuovo in questi giorni il presidente statunitense si sta scambiando lettere e ammiccamenti con l’idea di fare un passo avanti verso la pace, dopo gli alti e bassi seguiti al fallito vertice di Singapore.
A breve potremmo avere dei segnali per capire meglio se sarà questa la via seguita con l’Iran o se invece scatterà una detonazione. Che può incendiare l’intero Medio Oriente.