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Le giornaliste iraniane Niloofar Hamedi e Elaheh Mohammadi dopo il loro rilascio dalla prigione di Evin a Teheran [AFP]
La magistratura iraniana ha annullato la condanne a Nilufar Hamedi ed Elahe Mohamadi, le due giornaliste iraniane condannate dopo aver rivelato il caso di Mahsa Amini, la giovane curda arrestata nel 2022 a Teheran per aver indossato “male” il velo e morta mentre era sotto la custodia della polizia morale. Una vicenda che scatenò le proteste esplose in tutto il Paese con il movimento “Donna, vita, libertà”.
Le due giornaliste sono state liberate nell'ambito del provvedimento della Guida Suprema dell'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei, che lo scorso 5 febbraio - a pochi giorni dal 46mo anniversario della rivoluzione islamica del 1979 - ha concesso la grazia o commutato la pena ad oltre 3.100 detenuti. Gli avvocati delle giornaliste - riferisce Etemad Online - hanno confermato che le loro assistite sono tra le persone che hanno beneficiato del provvedimento di Khamenei, aggiungendo che il loro caso è stato chiuso.
Nell'ottobre 2023, un tribunale aveva condannato Hamedi e Mohamadi rispettivamente a sette e sei anni di prigione per “aver collaborato” con gli Stati Uniti e “aver cospirato per commettere crimini contro la sicurezza dello Stato”. Le due giornaliste, oltre ad aver denunciato la morte di Amini, avevano seguito anche il suo funerale.
Hamedi era stata la prima a raccontare il caso di Amini dall'ospedale dove era in coma, diffondendo immagini della famiglia della giovane attorno al suo letto, mentre Mohamadi scrisse un articolo sulle esequie. Le due giornaliste, contro le quali le autorità avevano mosso anche l'accusa - poi ritirata - di aver agito come agenti degli Stati Uniti durante le proteste antigovernative, avevano ricevuto il premio internazionale sulla libertà di stampa dell'Unesco, mentre si trovavano in custodia cautelare.
Secondo Al Jazeera, le due giornaliste erano state rilasciate temporaneamente su cauzione a metà gennaio dopo 17 mesi di carcere, salvo finire immediatamente sotto un nuovo procedimento per le immagini che le ritraevano senza velo all’uscita dal carcere di Evin a Teheran.
Nessuna notizia invece su Pakhshan Azizi, l’attivista curda condannata a morte con l’accusa di ribellione armata contro lo Stato. Arrestata per la prima volta nel 2009, quindi rilasciata e imprigionata di nuovo nell’agosto 2023 insieme al padre e alla sorella, Azizi ha trascorso quattro mesi in isolamento nella sezione 209 del carcere di Evin, dove si trovano i dissidenti politici, per poi essere trasferita nel reparto femminile insieme alle altre attiviste finite nel mirino del regime, come il premio Nobel per la pace Narges Mohammadi.
Nel luglio 2024 è stata condanna all’impiccagione per la sua attività come operatrice umanitaria nei campi profughi nel Nord della Siria a supporto delle vittime dell’Isis. Un’attività del tutto pacifica, ha spiegato il suo legale Amir Raeisiian, per il quale il processo si è svolto in spregio ad ogni regola del diritto, in mancanza di indagini e prove. Lo scorso 8 gennaio la Corte Suprema ha comunque confermato il verdetto, mentre la Ong Iran Human Rights condannava il boom di esecuzioni messe in atto dalla Repubblica islamica per soffocare il movimento “Donna, vita, libertà”. Solo nel 2024, secondo i dati riportati dall’Ong, sono state giustiziate almeno 31 donne, il numero più alto degli ultimi 15 anni. Nel corso dei quali sono state consegnate nelle mani del boia almeno 241 donne.