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«Con la discussione a cui si è dato vita alla Camera si realizza una vera svolta culturale: la politica dimostra di aver acquisito una nuova consapevolezza del ruolo dell’avvocatura e della necessità di garantire la dignità della professione anche attraverso l’inserimento del principio di un compenso dignitoso». Andrea Mascherin, presidente del Cnf, lo dichiara al termine della seduta di ieri in commissione Giustizia a Montecitorio, in cui è intervenuto in audizione. E in effetti il confronto tra avvocatura e deputati è parso un’eccellente premessa per approvare in tempo il ddl sull’equo compenso. Una misura che gli avvocati attendono da molto e che ora i partiti mostrano di condividere in modo pressoché unanime.
Due giorni fa la «svolta culturale» di cui parla il vertice del Consiglio nazionale forense è stata anticipata da un passaggio decisivo: il disegno di legge messo a punto dal ministro Andrea Orlando e varato a Palazzo Chigi lo scorso 7 agosto è stato trasmesso formalmente a Montecitorio.
Adesso la discussione può procedere dunque su una base solida. E non è un caso che ieri le forze politiche siano venute allo scoperto in modo piuttosto concorde su due punti: assicurare un esame quanto più celere possibile alla legge e, eventualmente, migliorarla e rafforzarla in alcuni punti.
Dal Pd ad Alternativa popolare, da Forza Italia alle diverse componenti del gruppo misto, è stata espressa adesione convinta al principio della tutela degli avvocati rispetto ai cosiddetti clienti forti, vero cuore delle norme proposte dal guardasigilli. Ci si è spinti anche oltre: più di un componente della commissione ha messo sul tavolo la possibilità di ampliare l’articolato del governo con l’estensione degli stessi principi ai rapporti da avvocati e pubblica amministrazione. Su questo Mascherin dice: «Sono state suggerite anche soluzioni migliorative del testo, ma da parte mia è stato precisato che in ogni caso la ricerca di soluzioni non deve assolutamente compromettere l’esito finale nei tempi necessitati».
Nella commissione presieduta da Donatella Ferranti è già avviato l’esame di una proposta di legge d’iniziativa parlamentare presentata dal dem Giuseppe Berretta, che ne è anche relatore e che continuerà ad esserlo una volta unificato il testo. Berretta condivide l’idea che il giudice possa invalidare una convenzione tra il professionista e il committente anche quando quest’ultimo è un ente pubblico. Come lui la pensano diversi parlamentari della commissione. Il testo di Orlando invece non prevede una simile possibilità. «È importante assumere come base di discussione politicamente condivisa, e condivisibile anche da parte dell’avvocatura, il testo go- vernativo, senza rischiare in alcuna maniera di vanificare l’approdo all’approvazione finale», è la posizione espressa da Mascherin a Montecitorio. Nessuna contrarietà del Cnf a modifiche, ha spiegato, a condizione che il Parlamento sia consapevole dell’eventuale allungamento dei tempi che ne deriverebbe.
Al momento si prevede che le convenzioni che regolano le prestazioni legali con banche, assicurazioni e grandi imprese possano essere oggetto della cosiddetta “nullità di protezione”: di fronte all’imposizione di clausole vessatorie, il professioi- nista può ottenere dal giudice l’annullamento delle sole parti contestate e squilibrate, e la conseguente determinazione di un compenso equo, proporzionato alla “quantità e alla qualità della prestazione”. È chiaro come l’applicazione di norme simili agli incarichi commissionati dalla pubblica amministrazione chiamerebbe in causa la Ragioneria generale dello Stato e potrebbe allungare non di poco i tempi.
In ogni caso l’attenzione dei partiti sul tema è notevole. Mascherin, nel notarlo, ricorda: «Quello stesso Parlamento che ha abolito le tariffe e introdotto le società capitali, che ha dato finora spazio alla grande finanza e alla concorrenza al ribasso senza regole, assume una posizione diversa e afferma la necessità di riconoscere dignità all’avvocatura». Il tema evidentemente non è circoscritto al semplice adeguamento dei compensi professionali. A chiarirlo ha già provveduto il guardasigilli Orlando, che esattamente un mese fa, pochi minuti dopo il varo del ddl in Consiglio dei ministri, lo presentò in conferenza stampa proprio con Mascherin e disse: «Qui si tratta di porre argine a forme di vero e proprio caporalato intellettuale, innanzitutto rispetto ai professionisti più giovani». Con il Cnf, Orlando ha avuto un lungo confronto preparatorio prima di presentare il ddl: l’idea di preservare l’equità del compenso innanzitutto attraverso la nullità delle clausole vessatorie è stata concepita nei lavori del tavolo aperto l’anno scorso a via Arenula insieme con l’avvocatura. Sempre nel corso delle audizioni di ieri, è intervenuto anche il coordinatore dell’Organismo congressuale forense, Antonio Rosa, che ha ribadito «a necessità portare a termine il percorso di legge» e ha auspicato a sua volta «interventi utili a meglio definire il principio dell’equo compenso». Di sicuro il ministro della Giustizia tiene molto a questa misura. Così come hanno mostrato di sostenerla in pieno la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi e lo steso premier Paolo Gentiloni. A sua volta l’allora capo del governo Matteo Renzi, in un incontro di fine 2016 con Mascherin, diede il proprio assenso. Dopo il varo a Palazzo Chigi Orlando ha chiesto una «corsia preferenziale per il provvedimento». E ha fatto appello a una «ampia condivisione da parte delle forze politiche in Parlamento». Ieri il segnale è arrivato. Ora si tratta di tradurlo in tempi di approvazione davvero brevissimi.