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A differenza di altri mondi e di altri ambienti istituzionali, dove spesso si dice che «tutto cambia perché nulla cambi», il mondo dell’intelligence e della sicurezza non può permettersi lentezze gattopardesche.
Non lo consente un pianeta in cui singole aziende come Google o Facebook manipolano informazioni e dati su miliardi di individui, o in cui un piccolo drone pilotato da uno sconosciuto può bloccare il traffico un intero aeroporto ( è già successo allo scalo londinese di Heathrow). Non lo consente la dinamica sempre più globale dell’economia e della finanza.
Se un motto dovessimo scegliere per questo campo professionale, sarebbe piuttosto il «nessun dorma» di pucciniana memoria. L’ultimo decennio della Storia italiana è quello che ha visto nascere e svilupparsi un nuovo Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica – ispirato e motivato dalla legge 124/ 2007, che ha drasticamente riformato le funzioni, il perimetro di lavoro e le garanzie funzionali dell’Intelligence. Le caratteristiche strutturali e le proiezioni di questa architettura sono ben collaudate e note agli addetti ai lavori, che in gergo non usano quasi mai la parola «sistema», ma preferiscono parlare di «comparto» o «presidenza». Cosa è cambiato, e come?
Il discorso sarebbe lungo, ma possiamo riassumerlo così: fino agli inizi di questo secolo le due agenzie incaricate per la sicurezza, lo spionaggio e il controspionaggio erano il Sisde e il Sismi. La prima si occupava prevalentemente di minacce nazionali, ed era coordinata prevalentemente dagli Interni. La seconda era proiettata all’estero, con un profilo ( e una mentalità) in prevalenza militari, in coordinamento con la Difesa. Le gelosie e le sovrapposizioni funzionali erano all’ordine del giorno, e il sistema conosceva non poche duplicazioni e sprechi.
La riforma del 2007 è servita prevalentemente a introdurre due cambiamenti: il primo e più visibile è stato portare entrambe le agenzie, rinominate AISI ( sicurezza interna) e AISE ( sicurezza esterna), sotto una più stretta e diretta dipendenza gerarchica e funzionale dal Presidente del Consiglio, che le coordina tramite il Dipartimento Informazioni e Sicurezza ( DIS).
Il Premier può nominare un Sottosegretario di Stato o un Ministro senza portafoglio ( detto «Autorità Delegata» ) per gestire le deleghe attribuitegli dalla legge. È il ruolo che in passato è toccato a Gianni Letta, per i governi di centrodestra, e a Marco Minniti per il governo Renzi. Ma può anche tenere per sé le deleghe e disporre personalmente della consulenza preziosa dei servizi, cosa che hanno scelto a suo tempo Paolo Gentiloni, e più recentemente Giuseppe Conte, sia nel primo sia nel secondo mandato.
Questo evidenzia ancor di più l’importanza e il potere diretto di Palazzo Chigi e del suo inquilino, che si trova a essere il centro e lo snodo di informazioni e dossier delicatissimi, e che i servizi chiamano – non per nulla – «il Decisore» o semplicemente «Chigi 1». Il Premier diviene così l’apice e il custode supremo del segreto di Stato, che travalica i confini nazionali del «segretissimo» fino ad attingere informazioni classificate dal sistema NATO. Il professor Conte, che è persona meticolosa e legge con attenzione le carte prima di deliberare, ha ritenuto che questo fosse l’assetto migliore per l’attuale fase politica.
Il secondo cambiamento del mondo dei servizi è apparentemente più «filosofico» e di metodo, ma ha avuto conseguenze importantissime. Si tratta in sostanza di considerare l’intero sistema Paese come un bene non solo da difendere, ma da accompagnare nella crescita economica, civile e culturale. Quindi viene tutelato tutto il mondo delle imprese, a capitale pubblico e privato, con il suo complesso patrimonio materiale e immateriale di brevetti e di patenti industriali.
Gli uomini dei servizi seguono e marcano stretto le Istituzioni e le aziende anche per quello che riguarda le attuali disposizioni di legge introdotte con il cosiddetto Golden Power. Rientrano in un piano di sviluppo e di protezione le infrastrutture critiche come le vie di comunicazione, le reti energetiche, le banche, gli acquedotti, i porti e via dicendo. Dal 2018 il DIS ha poi assorbito nella propria sfera, sviluppandolo, il Nucleo Sicurezza Cibernetica, e questo è divenuto un terreno di azione cruciale: ogni giorno, ogni ora i nostri sistemi informatici pubblici e privati subiscono attacchi, e una guerra invisibile e tenace tiene impegnati decine di operatori.
Si può trattare di malware, virus digitali che possono disabilitare un intero sistema, o anche di attacchi ransomware: un’organizzazione viene colpita e paralizzata per via telematica, e le viene chiesto un riscatto ( ransom). È come essere rapiti, ma a casa propria, e senza neanche conoscere l’origine e il volto dei propri sequestratori. Non parliamo poi di quella guerra simbolica e ideologica che vene combattuta nel dominio delle parole e dell’informazione, dove le «misure attive» adottate da Stati e organizzazioni ostili tentano di influenzare le opinioni e le paure di milioni di cittadini italiani. Perfino la difesa dell’immagine del nostro Paese, la sua «narrazione» e il suo patrimonio artistico e culturale sono essenziali per l’Intelligence italiana, non solo come volano di sviluppo economico, ma anche per combattere «contronarrazioni» aggressive che tendono a denigrare l’Italia in sede internazionale – le famose campagne di disinformazione e fake news di cui tanto si parla.
In poco più di due lustri l’Italia è passata attraverso prove difficili, e il comparto Intelligence ha mostrato un’elasticità e una tenuta invidiabili, e anche invidiate dalle omologhe agenzie degli altri Paesi. L’ironia e le frecciate sprezzanti che ogni tanto un italiano deve sentire in viaggio all’estero, sull’inaffidabilità e il caos delle nostre politiche di bilancio o del nostro sistema burocratico, non riguardano mai la nostra Intelligence, che anzi viene ammirata e presa a modello.
Cosicché quando il direttore del DIS Gennaro Vecchione ha inaugurato la palazzina della nuova sede centrale di Piazza Dante a Roma, nel maggio di quest’anno, con l’intervento del Presidente Mattarella, a Roma sono convenute più di 40 delegazioni, non solo delle agenzie europee e statunitensi «cugine», ma anche dei Paesi mediorientali – Israele incluso. Ora, è vero che nel mondo delle spie niente è come sembra e non esistono veri amici, ma è anche vero che la serietà e l’abilità dei nostri servizi sono ormai universalmente riconosciute e rispettate.
L’elenco delle minacce che insidiano la sicurezza della Repubblica è ancora lungo, e va dall’analisi delle nuove organizzazioni terroristiche allo scoppio di conflitti destabilizzanti nel Mediterraneo. Lo sviluppo dei mercati finanziari ha reso sempre più necessaria un’Intelligence che sappia interpretare dinamiche monetarie complesse – si pensi ad esempio al mondo delle criptovalute. I cambiamenti climatici hanno posto in evidenza ( e in emergenza) la necessità di tutelare la sicurezza alimentare e quella ambientale.
I nuovi media hanno determinato un adeguamento rapidissimo e costante nelle forme di analisi delle fonti aperte ( open source intelligence, in acronimo Osint), come le riviste, i libri e le informazioni accessibili a tutti su Internet. Accanto alla human intelligence ( Humint), cioè la raccolta di informazioni tramite fonti personali e conversazioni dirette, si è formata una nuova branca in enorme espansione, l’intelligence dei social media ( Socmint) che richiede capacità di intuito psicologico e sociale ma anche la continua progettazione di software «semantici», che possono mappare e analizzare milioni di conversazioni on line. Si captano così anche quei segnali «deboli» ( un’opinione espressa in modo velato, una foto di viaggio, uno scambio di numeri di telefono) dietro cui possono nascondersi operazioni di cellule terroristiche dormienti. O anche tentativi di manipolazione mentale e reclutamento di giovani italiani da parte di reti jihadiste, oppure di formazioni anarco- insurrezionaliste italiane ed europee.
In sintesi, l’ampiezza funzionale dei mestieri e dei fronti da presidiare ha richiesto una riformulazione strategica, una «postura» completamente nuova alla nostra Intelligence: stiamo vivendo una rivoluzione permanente delle forme e degli stili di vita e questo comporta, come conseguenza, una continua innovazione nelle forme e negli stili di analisi. Non è un caso che l’apertura di rapporti e di collaborazioni con le Università e gli enti di ricerca abbia fatto nascere in tutta Italia corsi di laurea, master e attività seminariali che non solo contribuiscono ad aumentare il livello delle conoscenze, ma ampliano il bacino di potenziale reclutamento professionale per il Comparto.
Le nuove materie di studio universitario vanno dal profiling di ispirazione criminologica e sociologica alla cybersecurity, dalla protezione del segreto industriale alla sicurezza energetica, dalle politiche di coordinamento antiterrorismo alle grandi emergenze nazionali e geopolitiche quali la gestione dei flussi migratori. Nella convinzione che l’Intelligence non è solo la rete di presìdi che tutela e aumenta la sicurezza del Paese, ma è anche la più alta forma di informazione specializzata e di conoscenza, al servizio del decidere e del deliberare politico e istituzionale. In altre parole, l’Intelligence viene vista come il cuore e la mente dello Stato stesso, e rappresenta la più pura forma di servizio pubblico e di orientamento strategico della Nazione.
Cosa rimane da fare? Innanzitutto è necessario continuare a diffondere una cultura dell’Intelligence nell’opinione pubblica e nel mondo politico, che di queste materie sa e mastica ancora molto poco. L’individuazione e il reclutamento di risorse professionali deve continuare a pescare dai più diversi campi dello scibile. Ma è anche fondamentale che le leve di comando siano in mano a persone espertissime e di lunga carriera – in questo senso tutti i commentatori hanno salutato favorevolmente la nomina di Bruno Valensise a Vicedirettore vicario del DIS, a fianco del già citato generale Vecchione.
In secondo luogo è necessario incoraggiare e sviluppare una Intelligence Community estesa, come ha scritto Mario Caligiuri sul mensile «Formiche» in edicola questo mese. Collegare in modo più ampio e organico il sistema delle imprese di valore strategico con il comparto Intelligence. Perché l’interesse nazionale deve essere tutelato anche sui mercati esteri, e perché la condivisione di informazioni è l’unica leva che permette di passare da una visione specialistica a una visione generale, in grado di progettare il futuro del Paese.