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Una «indecente lapidazione mediatica», forse manipolata «ma non voglio pensarlo». Antonio Ingroia, l’ex pm del processo trattativa, oggi avvocato, ha deciso di difendersi dalle accuse dei suoi ex colleghi di Palermo, che lo indagano per peculato, con un provvedimento di sequestro da 150mila euro. Cifra equivalente, secondo il gip Marcella Ferrara, alle somme indebitamente incassate come amministratore della “Sicilia servizi spa”. Un provvedimento - al quale l’altro ieri si è aggiunto il sequestro della sua casa - basato su un sospetto premio di produzione da 117mila euro, oltre i 50mila di stipendio, ai quali bisogna aggiungere rimborsi per soggiorni in lussuosi hotel per 33mila euro. Ingroia respinge le accuse nel corso di una conferenza stampa, affiancato da Giulietto Chiesa, col quale ha fondato la “Lista del Popolo”. Una conferenza convocata non allo scopo di urlare al complotto e al vittimismo giudiziario, giura, ma per bloccare quella lapidazione, iniziata «nel momento in cui ho denunciato le malefatte di quel carrozzone mangiasoldi che si chiava “Sicilia e servizi”». Una storia di «corrotti e corruttori», spiega.
Ingroia venne nominato commissario della società, nata ai tempi di Cuffaro «e poi diventato luogo di magna magna quando presidente della regione era Lombardo», per far quadrare i conti. Lì, spiega, erano stati sperperati «centinaia di milioni di euro», situazione della quale si rese conto nel momento del suo arrivo. «La società doveva essere liquidata e chiusa, perché era sull’orlo del fallimento proprio a causa di questi sprechi, ed io ho fatto un vero e proprio miracolo, salvandola assieme ai posti di lavoro, consentendo poi un taglio delle spese record», passando da 50milioni l’anno a 5 milioni. «Era diventato il luogo di uno dei più gravi e criminali saccheggi della storia siciliana», aggiunge. Ingroia ha denunciato quei fatti, ma nessuna indagine, sostiene, è mai stata avviata. Anzi, «improvvisamente sono stato sottoposto a quattro procedimenti penali, uno dopo l’altro». Procedimenti archiviati, aggiunge, ma costati attacchi e accuse sulle prime pagine dei giornali. L’ultima indagine è quella di venerdì scorso. «Per questa vicenda racconta - sono stato sottoposto, a distanza di un anno, a due lapidazioni mediatiche consecutive. L’anno scorso, dopo l’avviso di garanzia, un secondo dopo essere uscito dagli uffici della Procura dove sono stato interrogato, le notizie sono state passate ai giornalisti. La stessa cosa è avvenuta venerdì, in modo grottesco, con una notizia uscita su alcuni siti prima ancora che mi venisse notificato il decreto di sequestro». I conti di Ingroia sono ora bloccati, compreso quello professionale, mettendo a rischio la sua attività. «Non voglio pensare che la Procura voglia impedirmi perfino di continuare ad esercitare la mia attività di avvocato», commenta.
L’ex pm è poi passato ai numeri, parlando dei 117mila euro contestati dalla Procura.
Soldi che sono frutto della somma di indennità di produzione, «assegnatami dal socio pubblico, quindi dalla Regione, non da me stesso dunque». «Cifre lorde», aggiunge, dunque soldi «che lo Stato vuole indietro ma che in buona parte si è già ripreso tramite iva e tasse. Alla fine i famosi 150mila euro si riducono a circa 50mila euro netti, sommati ai 25mila euro netti di retribuzione. Questa evidenzia - la maxi cifra che avrei messo in tasca come un ladro». Un altro capitolo quello relativo ai rimborsi per il pernottamento negli hotel «di lusso». Ma, specifica Ingroia, si tratta degli stessi hotel che spettano ad ogni alto dirigente dello Stato o societario, «quindi quelli che di cui si avvalgono anche i pm. E forse ci si dimentica che sono ancora sotto scorta, quindi non posso alloggiare in un posto qualsiasi». Ma il punto contestato dalla Procura è un altro: Ingroia negli hotel non ci avrebbe proprio dovuto dormire. «Secondo loro, nonostante io sia residente a Roma, mentre la società si trova a Palermo, avrei avuto diritto solo alle spese di viaggio spiega -. Quindi avrei dovuto usare l’aereo come un bus».
Accusa infondate, sentenzia dunque l’ex pm, che non vuole parlare di accanimento ma che contesta il trattamento riservato, «non pari a quello degli altri, visto che chi mi ha preceduto e sperperato è stato risparmiato da qualsiasi indagine, nonostante abbia percepito le mie stesse indennità. Indagano però me che li ho denunciati. Cosa devo pensare, che mi si voglia punire per questo?». E conclude: «Della mia incriminazione chiosa - godono e festeggiano gli sponsor politici e istituzionali del processo sulla trattativa Stato- mafia. La contestualità temporale è inquietante».