«Tutto rinviato». La piccola Indi Gregory è ancora in ospedale quando il legale della famiglia, l’ex senatore Simone Pillon, annuncia un’ulteriore proroga sul termine fissato per il distacco del supporto vitale. Il giudice Robert Peel aveva deciso che scadesse ieri dalle 14 (le 15 ora italiana), ma con un primo rinvio la famiglia aveva guadagnato altre due ore. E poi altre 24: lo stop alle macchine slitta almeno fino alle 12 di oggi, quando la Corte d’Appello si pronuncerà in merito al ricorso urgente presentato dall’Italia ai sensi della Convenzione dell’Aja.

È una corsa contro il tempo, l’ultimo tentativo per trasferire la bimba inglese di 8 mesi affetta da una rara e grave malattia mitocrondriale al Bambino Gesù di Roma, che ha espresso la possibilità di eseguire una procedura di stent. Il governo Meloni, con un consiglio dei ministri lampo, le aveva concesso la cittadinanza italiana per agevolare il trasferimento. E si è offerto di finanziare il trattamento «senza alcun costo per il servizio sanitario nazionale o i contribuenti del Regno Unito». Ma il giudice inglese, che ha accolto il parere dei medici che hanno in cura la bimba, non ha cambiato idea. E ha respinto ancora una volta il ricorso dei genitori: il sostegno vitale va rimosso “nel migliore interesse del minore”, e va rimosso in ospedale, presso il Queen’s Medical Center di Nottingham, dove la bimba è ricoverata, o in un hospice. Perché sarebbe «quasi impossibile» gestire il fine vita a casa senza rischi di complicazioni.

La speranza di papà Dean e mamma Claire - che hanno avviato una tenace battaglia legale - è di poterla portare prima a casa, nella loro abitazione di Ilkestone, nel Derbyshire, e poi a Roma. «Non possono toccarla fino a dopo l’udienza», spiega Dean Gregory. «L’NHS ( il sistema sanitario pubblico inglese, ndr) sta cercando di impedirci di andare in Italia, e ci ha anche impedito di portare Indi a casa per le cure palliative di fine vita. Siamo molto agitati per l’estubazione, e molto preoccupati per la vita di Indi», aggiunge il papà. Che lancia il suo ultimo e disperato appello: «Sappiamo che Indi è una combattente: lei vuole vivere, e non merita di morire».

Alle sue parole si aggiungono quelle di Pillon, che segue la vicenda dall’Italia. «La speranza divampa», dice l’ex senatore, citando gli articoli 9 e 32 della Convenzione dell’Aja in base ai quali è stata attivata la procedura.

L’ultima mossa era arrivata dal console italiano a Manchester, Matteo Corradini, che in qualità di giudice tutelare della bambina aveva presentato ieri mattina una richiesta urgente all’Alta Corte del Regno Unito per ottenere la giurisdizione sul caso nel tentativo estremo di impedire la sospensione dei trattamenti che tengono in vita la piccola. «Uno sviluppo del genere non si era mai verificato prima in un caso di fine vita che coinvolge un bambino nel Regno Unito», spiega l’organizzazione “Christian Concern”, che sta supportando i genitori nella loro battaglia.

«Questi ordini hanno efficacia immediata - aggiunge - a causa del pericolo imminente per la vita di Indi, con i medici pronti a rimuoverle il supporto vitale». Mercoledì scorso il console aveva emesso un provvedimento d’urgenza che riconosce l’autorità dei tribunali italiani in questo caso. Ma «ad oggi - spiega l’ente - non c’è stata alcuna risposta o commento da parte del governo britannico sul caso». Gli avvocati della famiglia hanno quindi presentato un nuovo ricorso contro l’ultima pronuncia del giudice Peel. Ma i medici che curano Indi al Queen’s Medical Center di Nottingham ribadiscono di non poter fare altro per lei: come riporta la Bbc, hanno riferito al giudice che Indi era «chiaramente angosciata, agitata e dolorante» e che, pur potendo l’estubazione avvenire ovunque in teoria, le sue cure successive dovrebbero essere «gestite da professionisti qualificati con risorse a disposizione per affrontare le complicazioni e ridurre al minimo il disagio». «Tutti pensano: “perché non la lasciano andare?”. Non hanno nulla da perdere», riflette invece Dean Gregory, che si è detto sicuro del fatto che se Indi avesse avuto il permesso di viaggiare in Italia, avrebbe potuto essere salvata.

Keith Girling, direttore medico dell’ospedale, dichiara di essere consapevole del fatto che «è un momento incredibilmente difficile per Indi e la sua famiglia, e i nostri pensieri sono con loro oggi. A seguito della decisione dell’Alta Corte, la nostra priorità - assicura - rimarrà quella di fornire a Indi cure specialistiche adeguate alle sue condizioni e in linea con le indicazioni della corte, sostenendo la sua famiglia in ogni modo possibile».