In Aula a 100 anni: la Germania processa un'ex guardia nazista
Il tribunale tedesco ha accolto l’azione legale promossa da alcuni ex internati che hanno ora la stessa età dell’imputato, accusato di complicità o partecipazione diretta in almeno 3.518 omicidi avvenuti tra il 1942 e la caduta del Reich
Nel 1936 Heinrich Himmler divenne il capo delle SS naziste, da quel momento in poi prese il via il programma di internamento per chiunque si opponesse al regime hitleriano. Il primo campo che venne istituito tramite una pianificazione certosina fu quello di Sachsenhausen alle porte di Berlino. In esso, dall’anno della sua costruzione, eseguita da altri prigionieri, fino al 1945, transitarono almeno 200mila persone. Si trattava di “nemici” politici del Reich, membri di gruppi dichiarati dai nazisti razzialmente o biologicamente inferiori, come ebrei, sinti e rom, e persone perseguitate perché omosessuali, così come i cosiddetti “criminali di carriera” e “antisociali”. Inizialmente, gli internati erano prevalentemente cittadini tedeschi, ma dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, decine di migliaia di persone furono deportate dai territori occupati. Il campo di concentramento era usato anche come area di addestramento delle SS, che avevano un poderoso contingente, per affinare le tecniche di sterminio, a Sachsenhausen infatti morirono almeno in 20mila a causa di fame, malattie, lavori forzati, fucilazioni e altre violenze. Tra le guardie del campo un uomo, oggi centenario, del quale non è stato rivelato il nome ma che il prossimo ottobre andrà a processo davanti al tribunale distrettuale di Neuruppin per i crimini commessi.
Accusato di aver partecipato a 3.518 omicidi
Il tribunale, lunedì scorso, ha così accolto l’azione legale portata avanti da alcuni ex internati che hanno ora la stessa età dell’imputato. L’accusato dovrà rispondere di complicità o partecipazione diretta in almeno 3.518 omicidi avvenuti tra il 1942 e la caduta del Reich come affermato dai pubblici ministeri. I suoi presunti crimini includono esecuzioni per fucilazione o tramite gas velenosi. Fatta salva l’imprescrittibilità di tali reati rimane la questione dell’età dell’uomo che pone alcuni interrogativi. Innanzitutto il suo stato di salute e la capacità di affrontare un processo che potrebbe avere tempi lunghi. Il presidente del tribunale ha, in questo senso, riferito che l'accusato è stato sottoposto a una valutazione medica secondo «la quale, nonostante la sua età avanzata, è stato dichiarato idoneo a comparire in aula per due ore e mezza al giorno».
Dibattito aperto
Sul processo in Germania, vista la sua drammatica particolarità, si è aperto un dibattito che viaggia soprattutto sui media e in ambito accademico. Secondo Stephanie Bohra, assistente di ricerca presso il Centro di documentazione di Berlino "Topografia del terrore", «l'omicidio non scade, motivo per cui anche gli anziani devono rispondere in tribunale. Si tratta di risolvere crimini e gli ex detenuti hanno l'opportunità di denunciare quello che è successo lì». Dello stesso tenore le dichiarazioni dell’avvocato Thomas Walther, che ha rappresentato per anni le parti civili nei procedimenti contro ex nazisti ed è ora coinvolto anche nel processo Neuruppin: «Sachsenhausen è stata l'ambientazione della leadership nazista alle porte di Berlino per la loro illusione di dominio sulla vita e sulla morte. Molti querelanti hanno la stessa età dell'imputato e sperano nella giustizia».
Sarà uno degli ultimi processi?
In ogni caso quando inizierà il processo verranno riaperte ferite ancora sanguinanti nonostante siano passati più di 75 anni dalla quella che Hannah Arendt ha definito la “Banalità del male”. Probabilmente il procedimento giudiziario, contro uno degli ultimi sopravvissuti di quella tragica pagina di storia, sarà uno degli ultimi ad essere celebrato vista proprio l’avanzata età dei protagonisti. Una stagione di ricerca dei colpevoli che sta terminando e che prese il via nel 2011, quando una sentenza storica condannò un’altra ex guardia per omicidio di massa.
Il caso di un 96enne
Si trattava di John Demjanjuk, che morì in attesa di appello, anche se il verdetto creò un precedente legale. Precedentemente infatti i tribunali richiedevano prove inconfutabili per dare il via ad un processo, non bastava cioè la denuncia delle vittime; così nel luglio 2020, un altro imputato di 93 anni è stata giudicato colpevole per la partecipazione nella fine tragica di oltre 5mila prigionieri. Sorte però diversa da quella di un altro ex SS, ora 96enne, che nel marzo di quest’anno è stato dichiarato non in condizione di sostenere i vari gradi di giudizio lasciando inevasa la richiesta di verità e giustizia.