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Sulla mia pelle ha aperto ieri la sezione Orizzonti della 75 ª Mostra del cinema: è il racconto degli ultimi drammatici giorni di vita di Stefano Cucchi, morto nove anni fa all’ospedale Pertini di Roma mentre era sotto la custodia dello Stato. Il film, che vede protagonisti Alessandro Borghi e Jasmine Trinca, per la prima volta in Italia uscirà contemporaneamente il 12 settembre sia in sala che su Netflix, disponibile in 190 Paesi del mondo. Come ha spiegato il regista Alessio Cremonini « Sulla mia pelle nasce dal desiderio di strappare Stefano alla drammatica fissità delle terribili foto che tutti noi conosciamo, quelle che lo ritraggono morto sul lettino autoptico, per ridargli vita, movimento, parola». La giustizia dopo nove lunghissimi anni ancora non è riuscita a mettere un punto definitivo sull’intera vicenda. Ma la famiglia che ha soprattutto il volto della sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, non ha mai smesso di cercare la verità sulla morte del ragazzo.
Ilaria Cucchi, cosa pensa di questo film e quale funzione creda possa assumere?
E’ un film molto attuale e assume una funzione importantissima soprattutto in questo momento in cui si vogliono convincere le persone che i diritti di qualcuno possano essere sacrificabili in nome di presunti interessi superiori, come se il nostro benessere fosse legato al sacrificio di queste persone e dei loro diritti. Serve affinché non cali mai il silenzio su questa drammatica vicenda e su re- altà simili in cui si negano i diritti dell’essere umano. Non bisogna mai voltarsi dall’altra parte quando accadono certe cose.
A chi dedica questo film?
Oggi questo film lo dedico a Matteo Salvini ( il vice premier disse che la sorella di Cucchi si sarebbe dovuta vergognare per aver pubblicato la foto del carabiniere indagato per la morte del fratello, ndr) e a tutti coloro che non hanno voluto vedere dietro quel volto, dietro Stefano Cucchi, un essere umano e che avrebbero voluto che di questa storia non se ne parlasse più.
È in corso processo Cucchi Bis che vede accusati per omicidio preterintenzionale i tre agenti che lo arrestarono – Di Bernardo, D’Alessandro e Tedesco – oltre al maresciallo Mandolini per calunnia e falso e Nicolardi che, insieme a Tedesco, deve rispondere di calunnia nei confronti di tre agenti della penitenziaria precedentemente processati per la stessa vicenda e poi assolti. A che punto è il procedimento e che cosa si aspetta?
Siamo in una fase completamente nuova, in una fase di ve- rità, in un momento in cui dopo tanto tempo si parla delle cose per quelle che sono e per come sono andate, ossia di un violentissimo pestaggio nei confronti di mio fratello. Finalmente dopo anni e anni di battaglie siamo riusciti a far riconoscere che Stefano non era morto per cause naturali. Ogni nostro piccolo passi avanti, ogni nostra vittoria nelle aule giudiziarie e fuori, come nel caso di questo film, rappresentano un passo avanti per tanti altri, per coloro che hanno bisogno di continuare a credere che possa esistere una giustizia davvero giusta e uguale per tutti.
Che giudizio dà dell’intera vicenda processuale?
La storia di mio fratello è simile a tante altre vicende in cui la prima cosa che si tenta di fare un attimo dopo il verificarsi di queste tragedie è la spersonalizzazione dei morti, è la colpevolizzazione delle vittime.
Con una nota il Sappe, il sindacato di Polizia Penitenziaria, ha replicato alle considerazioni espresse dall’editorialista del Corriere della Sera, Pierluigi Battista, nell’articolo “Stefano Cucchi, un film ricorda una storia da non dimenticare”: ribadiscono che gli agenti di polizia penitenziaria sono stati assolti dalle accuse. Che idea si è fatta di questa polemica?
Battista faceva un discorso molto più ampio rispetto a quello che sostiene Donato Capece del Sappe. Battista scrive di violazione dei diritti dei cittadini privati della libertà personale in stato di detenzione: ciò è intollerabile. Poi leggo che Capece esprime solidarietà a me e alla mia famiglia. Sinceramente tutta questa solidarietà non la vedo: lui insieme ad altri suoi colleghi è imputato per averci offeso.
Tra le battaglie dell’Associazione Stefano Cucchi c’è quella contro la tortura. Esiste già una proposta per abolire il reato da poco introdotto. Tra i favorevoli Giorgia Meloni che vorrebbe eliminarlo per permettere alle forze dell’ordine di «svolgere meglio il proprio lavoro». Come risponde?
Giorgia Meloni, in qualche maniera, sta dicendo che per fare i poliziotti bisogna essere dei picchiatori. Stenderei dunque un velo sulle sue parole.