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Jean le Bel scrittore e storico del XIV Secolo descriveva con queste parole la Grande jacquerie del 1358: «Si portavano avanti senza consigli e senza armature, agitando bastoni chiodati e coltellacci, più selvaggi e spietati dei Saraceni, entrarono in una casa e uccisero un cavaliere, il suo scudiero, sua moglie e i bambini, poi gli diedero fuoco e continuarono così nelle case e i castelli di tanta brava gente. Nessuno li guidava ma loro continuavano a uccidere e a bruciare tutto senza misericordia alcuna».
Il punto di vista di le Bel, intellettuale aristocratico e vicino alla Corona è senz'altro fazioso e il suo racconto ricco di enfasi, ma la rivolta contadina contro i privilegi dei signori feudali e della grande nobiltà fu davvero un’orda ferocissima e priva di controllo; nelle campagne dell’Ille de France, della Picardia, dell’Artois e della Normandia la violenza dilaga sfrenata, nessuno si mette a capo del movimento nessuno guida le migliaia di “Jacques Bonhommes” ( il nome collettivo affibbiato ai paysans) inferociti e vessati dalle gabelle che la nobiltà pretendeva avidamente dalle loro tasche.
La rivolta fu poi repressa nel sangue con i mercenari assoldati dai conti e i marchesi del nord, in particolare gli scagnozzi di Charles II di Navarra, che restituirono con gli interessi le violenze ai contadini in una dialettica rivoluzione/ repressione che caratterizzerà la storia della Francia, dal medioevo ai nostri giorni.
Molti politologi paragonano con un certo disprezzo la protesta dei gilets gialli contro le “gabelle” del presidente Macron alla Grande Jacquerie del 1358 giocando con suggestivi punti di contatto: la provenienza rurale, la ribellione fiscale, l’odio verso le élites, la mancanza di strategia e di leader politici. La similitudine però non tiene, i gilets che da tre settimane paralizzano la Francia sono classi medie impoverite di una società industriale avanzata, compararli ai contadini del 1300 quando l’Europa era flagellata dalla peste nera e dalla Guerra dei cent’anni è un modo alquanto pittoresco di leggere il conflitto sociale.
C’è però un filo rosso che lega i tumulti delle jacqueries alla guerriglia urbana che nell’ultimo week end ha incendiato i quartieri chic di Parigi: il senso dei francesi per la rivolta, una disposizione permanente, quasi iscritta nel Dna della nazione, trasversale agli schieramenti politici. La Rivoluzione del 1789 guidata dalle élites cittadine del Terzo Stato ha una profonda radice contadina; tutti gli storici concordano che la Guerra delle farine del 1773 et 1774, con gli agricoltori che si ribellano al potere assoluto per l’aumento del prezzo del grano annuncia con 15 anni di anticipo la caduta della monarchia.
Quel grumo di violenza rappresa esplode poi nelle giornate rivoluzionarie dove il fanatismo dei giacobini ( per dirla con Engels) si impone in una spirale di rappresaglie infinite. Nel cerchio di sangue del Terrore nasce un’altra rivolta contadina, stavolta di segno opposto: è l’insurrezione della Vandea monarchica e clericale che reagisce prendendo le armi agli espropri e alla leva obbligatoria istituita dal governo rivoluzionario. «Distruggete la Vandea!», tuonò il deputato della Montagna Bertrand Barère alla Convenzione il 1 agosto e la Vandea effettivamente fu messa a ferro e fuoco dall’esercito repubblicano: oltre 170mila morti in una repressione che per alcuni studiosi assomiglia a un vero e prorpio genocidio.
Nell’incedere dei conflitti a ogni ribellione della società segue una reazione ancor più brutale da parte dei poteri. E’ accaduto nel 1848 dopo i moti che portarono alla nascita della Seconda Repubblica e alla caduta di Luigi Filippo; il governo conservatore uscito dalle elezioni soffocò nel sangue le proteste operaie con i reggimenti del generale Cavaignac che spararono contro la folla in piazza uccidendo migliaia di persone. Stesso climax per la Comune di Parigi ( 1871), un’altra rivolta popolare repressa con una spietatezza senza pari ( 30mila vittime) dalle forze controrivoluzionarie.
Attraversando guerre e rivoluzioni i francesi, di destra, di centro e di sinistra, hanno continuato ciclicamente a ribellarsi, dai “qualunquisti” di Poujade negli anni 50 alle contestazioni studentesche e operaie del ’ 68, al movimento dei ferrovieri del ’ 95 e dei ” berretti rossi” in Bretagna nel 2013, fino agli odierni gilets gialli, l’ultima incarnazione di quel demone che da otto secoli segna i passaggi cruciali dela storia francese.