Rischia di essere giustiziata nei prossimi giorni (forse nelle prossime ore) Verisheh Moradi (mentre il suo appello è in attesa di giudizio presso la Corte suprema), una donna, attivista, appartenente alla minoranza curda in Iran. Il suo è stato un processo fortemente macchiato da diverse irregolarità. La sentenza di morte è stata pronunciata nel novembre 2024, con l’accusa “standard” di ribellione armata contro lo stato anche se Verisheh ha sempre negato di aver imbracciato le armi in Iran. Amnesty International ha lanciato un appello per salvare la donna dalle grinfie del boia.

Si evince che le autorità iraniane hanno equiparato la sua lotta contro Daesh, l'Isis, a una ribellione contro la Repubblica islamica. Quella della donna è stata da sempre una battaglia contro le barbarie dello Stato Islamico. Nel 2014, nel nord- est della Siria, a Kobane, la città a maggioranza curda, rimase ferita durante un conflitto armato tra Daesh e le forze di autodifesa curde.

La stessa Verisheh ha fatto sapere, attraverso una lettera scritta nella famigerata prigione di Evin, a Teheran, come è avvenuto il suo arresto, nell’agosto 2024, quando gli agenti hanno sparato contro l’auto in cui si trovava, rompendo i finestrini e aggredendola fisicamente. Una volta portata in prigione è iniziato il calvario della detenzione.

Le denunce, mai prese in considerazione dalle autorità carcerarie, parlano di maltrattamenti e tortura. Inoltre a causa delle durissime condizioni di vita, Verisheh ha contratto importanti problemi di salute. Nel settembre dello scorso anno, è stato aperto un secondo caso riguardo le proteste condotte, con altre detenuti. i, contro l’uso della pena di morte che ha subito una drastica accellerazione come arma er combattere e distruggere il movimento “Donna Vita Libertà”. Così alla fine dello scorso ottobre, è stata condannata a sei mesi di carcere per disobbedienza a funzionari governativi.

Ma tutte le iniziative, portate avanti da Verisheh Moradi sono state pacifiche. A causa del peggioramento della sua salute, in particolare problemi intestinali ed emorragie interne, la sua famiglia si è mobilitata per garantirle l’assistenza medica fuori dal carcere ma il trasferimento è stato bloccato.

Le autorità le avevano anche negato l’accesso all’adeguata assistenza sanitaria di cui ha bisogno per il dolore al collo e alla schiena, inclusa la fisioterapia. Verisheh Moradi è stata trasferita dal reparto femminile della prigione di Evin alla sezione 209 per nuovi interrogatori durati fino al giorno successivo. Con un aggravio di ferocia le sono state negate anche le visite della sua famiglia come rappresaglia per il suo attivismo. In questo stato di isolamento prolungato nel penitenziario, sotto il controllo del ministero dell’Intelligence, che Verisheh Moradi e riuscita a scrivere la lettera aperta in cui ha raccontato di soffrire di mal di testa, sanguinamenti dal naso e forti dolori al collo e alla schiena. La pena capitale è diventata una macchina di morte per incutere paura tra la popolazione.

A farne le spese proprio le minoranze etniche. Lo dimostra la messa a morte dei dissidenti curdi Pejman Fatehi, Vafa Azarbar, Mohammad (Hazhir) Faramarzi e Mohsen Mazloum, condannati dopo un processo gravemente iniquo alla fine del 2023.

Molto colpite sono le donne detenute con accuse di natura politica. Basta citare il caso dell’operatrice umanitaria, Pakhshan Azizi, anch’essa curda dell’Iran, giudicata per ribellione armata contro lo Stato in relazione alle sue pacifiche attività umanitarie e per i diritti umani nel nord- est della Siria. I numeri delle persone giustiziate stanno assumendo dimensioni impressionanti. Nel 2024 le autorità iraniane hanno eseguito almeno 972 esecuzioni, quasi 100 in più rispetto all’anno precedente.