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Con la riforma in arrivo, anche gli avvocati potranno far parte dell'ufficio Studi e documentazione del Csm
Il punto fondamentale è chiaro: «la smaterializzazione del processo penale», afferma l’Unione delle Camere penali, sarebbe «contraria a principi costituzionali» e renderebbe impossibile «una qualsiasi forma di contraddittorio dinanzi al giudice con tali modalità». Poche parole per riassumere tutte le obiezioni avanzate dai penalisti al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che ora si trova per le mani anche la lettera con la quale il Garante per la Privacy, Antonello Soro, chiede chiarimenti sulle piattaforme utilizzate per il processo da remoto, girando al guardasigilli tutte le domande, non di poco conto, formulate dall’avvocatura. Sottolineando, inoltre, come tutte le norme emanate per far fronte all’emergenza, in ambito giudiziario, non siano passate dal fondamentale vaglio del Garante. L’Unione, che giovedì ha incontrato il ministro assieme ai rappresentanti di Cnf, Ocf e Anm, ha sottoposto a Bonafede una serie di proposte alternative per la gestione delle udienze nella seconda fase dell’emergenza, coniugando le precauzioni per la salute con regole in grado di non mortificare diritti e garanzie, non comprimibili nemmeno in nome di un’emergenza grande quanto quella attuale. Così i penalisti hanno chiesto - di concerto con gli altri partecipanti all’incontro - l’utilizzo di strumenti informatici per il deposito nelle segreterie e nelle cancellerie di istanze, memorie, liste testi e impugnazioni, soluzioni che eviterebbero spostamenti e accessi agli uffici non strettamente necessari. Ma l’Unione, attraverso il presidente Gian Domenico Caiazza, ha anche messo in guardia il ministro sulla possibilità che la smaterializzazione dell’udienza possa comportare, in futuro, anche «un aumento dei contenziosi per le tante eccezioni di legittimità costituzionale ed opposizioni che i difensori si vedranno costretti a rappresentare nei singoli processi». Obiezioni sulle quali Bonafede ha garantito un confronto, ribadendo la natura temporanea di qualsiasi forma alternativa al processo così come previsto dalle norme ante emergenza. Su questi temi, l’Ucpi ha già coinvolto diverse forze parlamentari, che hanno manifestato l’intenzione di opporsi al processo da remoto. Che, così come pensato, presenta anche non poche insidie da un punto di vista di protezione dei dati personali: per svuotare i tribunali ed evitare il diffondersi del virus, infatti, si è optato per due programmi commerciali americani, Skype for Business e Teams, della società Microsoft Corporation, senza alcuna certezza che l’utilizzo di tali piattaforme «consenta di rispettare le garanzie minime di sicurezza, riservatezza e protezione dei dati personali richieste dalla normativa nazionale e sovranazionale». Senza dimenticare che, trattandosi di una società statunitense, la stessa è soggetta al Cloud Act, «che consente la discovery dei dati contenuti nei suoi server, anche se localizzati al di fuori del territorio Usa, su semplice richiesta dell’autorità governativa». Ma non solo: il collegamento da remoto avviene attraverso la rete internet pubblica e non attraverso la Rete unica Giustizia, rendendo i dati, dunque, facilmente intercettabili. Da qui le richieste di Soro, che ora chiede al ministro di spiegare se tali scelte sono compatibili con la legge sul trattamento dei dati personali, pretendendo chiarimenti anche sulla fine dei dati eventualmente memorizzati da Microsoft Corporation e sulla possibilità che dagli stessi si possa desumere «alcuni dati “giudiziari” particolarmente delicati quali, ad esempio, la condizione di soggetto sottoposto alle indagini o di imputato, magari in vinculis». Temi «sicuramente rilevantissimi e degni, pur nella condizione emergenziale che stiamo vivendo, della massima attenzione, al fine di coniugare esigenze di giustizia, tutela della salute e protezione dati». Da ciò anche il rammarico di non aver preventivamente contattato l’autorità per un parere sulle norme. «I tempi contratti nei quali tali opzioni sono maturate hanno, verosimilmente, indotto ad omettere un passaggio – ritengo di evidenziare – tutt’altro che formale - ha sottolineato Soro - e che ha, invece, consentito sinora di realizzare un confronto sempre utile al fine di massimizzare la tutela dei vari beni giuridici in gioco, tra i quali appunto anche il diritto alla protezione dei dati personali». Così Soro ha chiesto al ministro «ogni elemento ritenuto utile alla migliore comprensione delle caratteristiche dei trattamenti effettuati nel contesto della celebrazione, a distanza, del processo penale, ai fini dell’esercizio delle funzioni istituzionali attribuite a questa Autorità». Elementi che potrebbero cambiare radicalmente le sorti della norma.