A due settimane dall’arresto in Iran di Cecilia Sala il governo italiano cambia decisamente marcia e chiede «la liberazione immediata» della giornalista del Foglio rinchiusa nel carcere di Evin. La premier Giorgia Meloni ha convocato ieri pomeriggio un vertice straordinario con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano e i responsabili dei servizi di intelligence. La linea della trattativa a fari spenti invocata dal ministro della Difesa Crosetto (per una settimana la notizia dell’arresto di Sala è stata tenuta segreta) evidentemente non ha dato i frutti sperati e l’esecutivo ora sceglie un’iniziativa diplomatica più frontale e “rumorosa”. «Il governo conferma l’impegno presso le autorità iraniane per l’immediata liberazione di Cecilia Sala, e, in attesa di essa, per un trattamento rispettoso della dignità umana», si legge nella nota diramata da Palazzo Chigi.

Quasi a sottolineare il cambio di passo e la volontà di imprimere una svolta, Elisabetta Vernoni, la madre della giornalista, è stata ricevuta personalmente da Giorgia Meloni a Palazzo Chigi al termine del vertice dell’esecutivo. Il Sottosegretario Mantovano, in veste di Autorità delegata, venendo incontro alle richieste delle opposizioni, ha dato immediata disponibilità al Presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, Lorenzo Guerini, a riferire al Copasir già per stamattina.

Anche l’Alta rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Kaja Kallas è intervenuta sulla vicenda con parole decise: «Chiedo l’immediato rilascio della giornalista italiana Cecilia Sala arrestata in Iran. Nessuno dovrebbe essere detenuto per aver svolto il proprio lavoro il giornalismo non è un reato. Ogni giornalista deve avere la libertà di riferire senza timore di arresto o persecuzione. Mentre il mondo è in subbuglio, il ruolo del giornalismo è più essenziale che mai».

Martedì notte Sala, in una telefonata alla famiglia, ha raccontato le terribili condizioni della sua detenzione a Evin: in regime di isolamento è costretta a dormire per terra perché privata di materasso con appena due coperte per ripararsi dal freddo. Con una punta di sadismo le guardie carcerarie le hanno sequestrato gli occhiali da vista (in gergo si chiama “tortura bianca”), mentre il pacco che attendeva dall’Italia non le è mai stato consegnato. All’interno dovevano esserci dei vestiti, un panettone alcuni libri e una mascherina per proteggersi dalla forte luce al neon in funzione 24 ore su 24. Non vede nessuno dal 27 dicembre, giorno in cui ha incontrato l’ambasciatrice italiana Paola Amadei e mai ha potuto incontrare il suo avvocato in palese violazione dei diritti di difesa.

All’ambasciatore iraniano a Roma, Mohammad Reza Sabouri - convocato alla Farnesina su indicazione del ministro degli Esteri - sono state richieste dal segretario generale Riccardo Guariglia la liberazione di Cecilia Sala, condizioni di detenzione dignitose e assistenza consolare. Nella nota della Farnesina si legge che da parte italiana è stata innanzitutto chiesta la liberazione immediata della connazionale, giunta in Iran con regolare visto giornalistico. Guariglia ha poi ribadito la richiesta di assicurare condizioni di detenzione conformi alle convenzioni internazionali nel rispetto dei diritti umani, di garantire piena assistenza consolare alla connazionale, permettendo all’ambasciata d’Italia a Teheran di visitarla e di fornirle i generi di conforto che finora le sono stati negati.

Il problema è che la diplomazia iraniana sembra un muro di gomma e lo stesso Sabouri in post pubblicato su X afferma che la giornalista è trattata in modo adeguato e che la repubblica islamica non ha nulla da rimproverarsi: «L’ambasciatore del nostro Paese ha annunciato che sin dai primi momenti dell’arresto della signora Sala, secondo l’approccio islamico e sulla base di considerazioni umanitarie, si è garantito l’accesso consolare all’ambasciata italiana a Teheran, sono state inoltre fornite alla signora Sala tutte le agevolazioni necessarie, tra cui ripetuti contatti telefonici con i propri cari».

Intanto il procuratore generale di Milano ha risposto negativamente all’ipotesi di arresti domiciliari presentata dall’avvocato di Mohammad Abedini, il cittadino svizzero-iraniano fermato lo scorso 16 dicembre all’aeroporto di Malpensa e ricercato dal Dipartimento di Stato americano con l’accusa di traffico d’armi. Secondo il procuratore «la messa a disposizione di un appartamento e il sostegno economico da parte del consolato dell’Iran con eventuale divieto di espatrio e obbligo di firma, non costituisce una idonea garanzia contrastare il pericolo di fuga di Abedini di cui gli Usa hanno chiesto l’estradizione». Spetterà comunque alla Corte d’appello di Milano decidere sull’eventuale scarcerazione di Abedini non prima del prossimo 14 gennaio. In merito alle accuse mosse dagli Stati Uniti, i giudici si riservano «una approfondita e completa valutazione degli atti che verranno trasmessi alle autorità statunitensi».

Questo, semmai ce ne fosse bisogno, complica non poco la trattativa per riportare Sala in Italia; non è un mistero che tra le contropartite pretese da Teheran c’è la scarcerazione di Abedini e in molti sono convinti che l’arresto della giornalista si stata proprio una ritorsione contro l’Italia per il fermo dell’ingegnere svizzero-iraniano avvenuto sul nostro territorio. L’eventuale “scambio di arresti domiciliari” potrebbe costituire una soluzione temporanea per allentare il regime carcerario di Sala.