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casaleggio
Rousseau ha detto sì. E con convinzione, a quanto pare: dei 79.634 votanti grillini sulla piattaforma, si sono espressi a favore del governo giallo- rosso ben 63.146 iscritti ( il 79,3 per cento), contro solo 16.488 militanti ( il 20,7 per cento). Un risultato forse inatteso che fa tirare un sospiro di sollievo a Luigi Di Maio, a Nicola Zingaretti, a Giuseppe Conte e, soprattutto, a Sergio Mattarella, costretto ad attendere come tutti il comunicato ufficiale diffuso sul Blog delle stelle.
«È stato un voto plebiscitario, l’ 80 per cento ha votato per il sì», dice il capo politico, arrivato nella sala stampa di Montecitorio con un’ora di ritardo rispetto al previsto. «La stragrande maggioranza si è espressa per il sì alla nascita del nuovo governo con presidente del consiglio Giuseppe Conte», racconta, prima di utilizzare una parola inedita per la grammatica grillina per definire l’accordo col Pd. Una «coalizione», dice, invece di parlare d’alleanza, «in cui il M5S sarà la forza di maggioranza» . Di Maio rivendica il grande senso di responsabilità del suo partito, che in «meno di un mese» è riuscito a risolvere una crisi di governo voluta dalla Lega.
Già la Lega, il vecchio alleato a cui il capo politico dedica ancora passaggi importanti del suo discorso. «Metteremo una toppa a delle irresponsabilità che non sono state le nostre, ma della Lega e di Matteo Salvini», insiste. In futuro «magari sbaglieremo anche ma mai in malafede». Poi un appello diretto all’ex ministro dell’Interno, pronto a suonare la carica contro il nascente esecutivo: «Come potrai lamentarti se potevi starci tu al governo e hai deciso di metterti da parte?».
Ma il passato è passato. Adesso Di Maio elenca le proposte che da domani il Movimento porterà in Parlamento per trasformarle in leggi: taglio parlamentari, le misure che servono a rilanciare l’ambiente, quelle per le imprese, il cune fiscale, il blocco delle trivelle e degli inceneritori. Tutti i 20 punti programmatici su cui l’ex vice premier ha «alzato la voce» sono stati recepiti nel programma. A garantirne la realizzazione: Giuseppe Conte, che torna a essere una figura super partes. «Ma saremo anche controllori che tutto si svolga correttamente», aggiunge il capo politico. A partire dalla «legge di bilancio», il primo banco di prova per «verificare se quelle promesse contenute nel programma» verranno rispettate. «Non abbiamo paura del voto ma non si può usare il voto per scappare dalle promesse fatte agli italiani», ripete ancora come un mantra Di Maio.
Dal canto suo, Nicola Zingaretti, dopo qualche minuto di tensione per l’incertezza, scrive su Facebook: «Con la chiusura del lavoro programmatico si è fatto un altro passo avanti per un governo di svolta. Ridurre le tasse sul lavoro, sviluppo economico, green economy, rilancio di scuola, università e ricerca, modifica radicale dei decreti sicurezza. Ora andiamo a cambiare l’Italia».
Giuseppe Conte adesso può salire al Quirinale per sottoporre al Capo dello Stato la lista dei ministri e poi, probabilmente venerdì, presentarsi alle Camere per chiedere la fiducia. Il “governo del cambiamento” si è ufficialmente concluso.