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Pronto per il blitz nei campi rom della Capitale. Il ministro degli interni Salvini l’aveva annunciato domenica pomeriggio dopo lo show di Pontida. La sindaca Virginia Raggi si è resa disponibile ad un incontro. «Ci incontreremo quanto prima – ha riposto la sindaca interpellata alla fine della presentazione della Mic card in Campidoglio -, sarà bello portare il ministro a vedere i campi, soprattutto l’attività che stiamo facendo e che ci suggerisce l’Europa per superarli nel segno dell’inclusione, dell’applicazione per tutti dei diritti e dei doveri come stabilisce la Costituzione. Questo è un percorso che abbiamo avviato due anni fa». Uno dei campi che saranno oggetto della visita è il Camping River che, di fatto, doveva essere sgomberato attraverso il “piano rom” voluto dal Campidoglio. Ed è qui che sono nati dei problemi. Le associazioni principali dei rom e sinti, a partire dall’Associazione 21 luglio, hanno denunciato che si tratta di una vera e propria violazione dei diritti umani. Ma partiamo dall’inizio. Il 15 maggio scorso l’Amministrazione Capitolina aveva inviato una lettera notificando ad ogni famiglia presente nell’insediamento di Camping River la necessità di «lasciare immediatamente libero da persone e cose il modulo abitativo occupato, unitamente al suo nucleo familiare, inderogabilmente entro la data del 15 giugno 2018». Ora la scadenza si è spostata al 30 giugno e il “pugno di ferro” utilizzato dall’Amministrazione non fa che svelare sempre più clamorosamente le fragilità del “piano Rom”, un progetto di cui il Camping River doveva essere la sperimentazione pilota nel pieno rispetto dei principi della Strategia Nazionale per l’Inclusione dei rom, sinti e caminanti.
IL CAMPING RIVER E IL “PIANO ROM”
Il Camping River era entrato all’interno della sperimentazione delle misure previste dal “Piano di Roma Capitale per l’inclusione dei rom” a partire dal 1 luglio 2017 con deliberazione n. 146 del 28 giugno 2017. Nonostante la gran parte delle famiglie residenti all’interno del “campo” sia risultata idonea al progetto di fuoriuscita assistita dal “villaggio Camping Ri- ver”, le persone in questione non hanno potuto accedere ai contributi per il contratto di locazione perché – trovandosi in una situazione di inoccupazione e indigenza – non possono fornire le garanzie economiche necessarie per accedere al mercato immobiliare privato. Ne è seguito che da ottobre 2017 il Camping River non è stato più considerato un “villaggio attrezzato” ma un’area privata occupata per la quale l’Amministrazione Comunale ha disposto la modifica della Deliberazione n. 146 del 28 giugno 2017, esonerando la stessa Amministrazione Comunale da qualsiasi responsabilità nei confronti di questa struttura ricettiva. Tale situazione di precarietà, unita all’assenza di un dialogo adeguato con le famiglie presenti nell’insediamento, hanno impattato gravemente sui residenti specialmente sui minori. È significativo, a questo proposito, il dato relativo alla frequenza scolastica: secondo l’associazione 21 Luglio, nell’anno scolastico 2015- 2016, i minori rom residenti nel Camping River e iscritti a scuola erano 238. Nell’anno scolastico 2017- 2018 risultavano essere invece 107, segnando un crollo delle iscrizioni pari al 55%.
IL PUNGO DI FERRO
L’azione del Campidoglio, definita dall’Associazione 21 Luglio come un vero e proprio “pugno di ferro”, si è dovuto scontrare con la realtà dei fatti: come già detto, le persone non hanno potuto accedere ai contributi per il contratto di locazione perché prive di garanzie economiche. Vetri divelti, pareti sfondate, porte e finestre smontate. Scaduto l’ultimatum del Comune di Roma alle famiglie residenti all’interno del Camping River, l’insediamento che da tredici anni ospita circa 400 persone di origine rom, l’Amministrazione ha iniziato il “superamento del Camping River” distruggendo, nelle mattinate del 21 e 22 giugno, 18 container nei quali vivevano le famiglie. La soluzione abitativa alternativa per i residenti è stata, come di consueto, quella di dividere le famiglie: donne e bambini in case famiglia, uomini per strada. La proposta non è stata accettata da nessuno dei nuclei in questione e i residenti sono rimasti inermi a guardare lo scempio che si consumava sotto i loro occhi. Rimaste senza un tetto sopra la testa, le famiglie hanno dormito all’addiaccio, accampate vicino ai container distrutti. In questo modo, persone già vulnerabili e in condizioni di emergenza abitativa, sono oggi in una situazione di ancora maggiore fragilità. Ed è qui che è scattata la denuncia da parte di 61 organizzazioni rom e 27 accademici. Oltre a rappresentare una pesante violazione dei diritti umani che infrange gli standard internazionali del diritto all’abitare, distruggere i container è stato un atto cinico e illogico, fa notare Associazione 21 luglio. Le strutture di proprietà del Comune di Roma hanno un costo, stando ai prezzi di mercato, di circa 20 mila euro. Distruggere e vandalizzare i container rappresenta dunque un consistente danno erariale per l’Amministrazione. «Si è trattato di azioni gravissime, ciniche e crudeli. Sono state attuate ai danni di queste persone perché rom. Se si fosse trattato di qualcun altro, questa storia avrebbe avuto un esito diverso – ha affermato Associazione 21 luglio Onlus – Accusiamo la Giunta di incompetenza, per non essere stata capace di superare il Camping River secondo i principi della Strategia Nazionale di Inclusione. È ormai chiaro che questo “Piano rom” viola i diritti umani – aggiunge l’Organizzazione – e chiediamo ancora una volta e con sempre maggiore preoccupazione una revisione profonda delle azioni previste». Ora la situazione è critica. Diverse famiglie rom sono rimaste nel campo nonostante la scadenza. C’è un’ansiosa curiosità in Comune per la strategia che potrà mettere in piedi il leader della Lega. Nel caso del River - dove appunto è scaduto il termine per lasciare gli insediamenti comunali ma ciò non è ancora avvenuto - si potrebbe convocare un comitato per l’ordine e la sicurezza ad hoc, lanciare un ultimatum agli occupanti diventati abusivi e in caso di esiti negativi far partire uno sgombero con le forze dell’ordine. Una soluzione che nel M5S ( da Raggi all’assessore Baldassarre passando per gran parte dei consiglieri comunali) nessuno auspica. Ma fino a quando visto l’imminente visita del ministro degli interni?
LA BARBUTA
Il secondo campo rom che Salvini vorrà visitare è quello de La Barbuta. È situato al di fuori del Grande Raccordo Anulare, in via di Ciampino 63, nel Municipio VII. Nasce come insediamento formale nel 2012, nel pieno dell’” Emergenza Nomadi”, accogliendo inizialmente un centinaio di rom macedoni provenienti dallo sgombero forzato del “campo tollerato” di via del Baiardo. Successivamente, al suo interno sono stati trasferiti oltre 200 rom di nazionalità bosniaca provenienti dal vicino “campo tollerato” e circa 250 rom di nazionalità macedone e bosniaca sgomberati dall’insediamento di Tor de’ Cenci. L’insediamento presenta diverse forme di criticità principalmente legate a forme di convivenza forzate tra famiglie eterogenee tra loro. All’interno della baraccopoli vivono 586 persone in 83 unità abitative. L’insediamento è provvisto di utenza elettrica ( 400kW per un costo annuo superiore ai 100.000 euro) e di utenza idrica. Il rapporto degli abitanti con il quartiere limitrofo è fortemente segnato dalle problematiche legate ai roghi tossici che periodicamente si segnalano in prossimità della baraccopoli. Sono stati 94 i minori iscritti alla scuola dell’obbligo nell’anno scolastico 20172018. Di essi 5 alla scuola d’infanzia, 57 alla scuola primaria e 32 alla scuola secondaria di primo grado. Un altro campo che dovrebbe essere superato. Ma la procedura è ancora in alto mare.