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Non solo il Csm, l’Associazione nazionale dei magistrati e ovviamente il coordinamento dei magistrati di sorveglianza. Ma a chiedere di ridurre la popolazione carceraria ai tempi del coronavirus interviene anche Giovanni Salvi, il procuratore generale della Corte di Cassazione. Lo fa tramite un documento del primo aprile, indirizzandolo a tutti procuratori della Corte d’Appello. Ci tiene a sottolineare che non si tratta di avere la pretesa di stabilire delle linee guida, ma di costruire una base di lavoro comune. Il procuratore generale è netto sul fatto che le misure introdotte dal decreto “Cura Italia” non sono sufficienti per ridurre la popolazione carceraria: per questo ritiene che bisogna ragionare non solo con i nuovi strumenti normativi, ma anche con l’attuale legislazione carceraria già in essere che può essere ampliata nella sua portata interpretativa. Il primo fattore che analizza è il ricorso alla custodia cautelare. Sottolinea che la situazione determinata dall’emergenza sanitaria ha un carattere eccezionale e quindi comporta il ricorso a parametri valutativi ugualmente eccezionali in sede di applicazione o sostituzione delle misure cautelari. «Oggi il rischio epidemico concreto e attuale – si legge nel documento -, che non lascia il tempo per sviluppare accertamenti personalizzati, può in molti casi rappresentare l'oggettivizzazione della situazione di inapplicabilità della custodia in carcere a tutela della salute pubblica, in base ai medesimi criteri dettati per la popolazione al fine di contrastare la diffusione del virus». Il procuratore generale ci tiene a ricordare che nel nostro sistema processuale «il carcere costituisce l'extrema ratio». Per questo motivo ribadisce che occorre, dunque, incentivare la decisione di misure alternative idonee ad alleggerire la pressione delle presenze non necessarie in carcere. «Ciò limitatamente ai delitti che fuoriescono dal perimetro presuntivo di pericolosità e con l'ulteriore necessaria eccezione legata ai reati da codice rosso», sottolinea. Cosa consiglia, quindi, ai procuratori? Di arginare, a monte, la richiesta dell'applicazione delle misure cautelari a rischio, anche a seguito dell'adozione di misure precautelari. Ma di arginare anche “a valle”, ovvero nel procrastinare l'esecuzione della medesima misura cautelare già emessa dal Gip. Il procuratore generale della Cassazione affronta anche il discorso della nuova misura alternativa della detenzione domiciliare del decreto legge emergenziale. Sottolinea che in questo caso si prospetta la possibilità che l'istanza per l'applicazione della misura possa essere avanzata dal pubblico ministero e si suggerisce di raccogliere tramite il Dap o tramite gli istituti penitenziari il dato relativo ai detenuti che si trovano in esecuzione di una pena residua non superiore a 18 mesi. Ma non solo. Salvi ricorda che c’è un problema effettivo di mancanza dei braccialetti elettronici e porta avanti delle argomentazioni a sostegno della tesi che ritiene applicabile la misura anche in assenza di braccialetti. Interessante anche il discorso dei detenuti reclusi per reati legati alla loro condizione di tossicodipendenza. Ricorda l’importanza dell'applicazione provvisoria dell'affidamento terapeutico. «L’essenzialità del programma di recupero è inderogabile e, con l'emergenza sanitaria, forse solo un percorso riabilitativo di tipo comunitario appare effettivamente, in concreto, utile per il soggetto», osserva nel documento.