PHOTO
l governo regge, l’alleanza no. La prima conseguenza del voto umbro è la fine anticipata del progetto bipolare che avrebbe dovuto collocare il Movimento 5 Stelle nel campo del centrosinistra. Per Luigi Di Maio - passato nel giro di tre mesi dal patto con i sovranisti a quello coi dem, fino a prospettare una possibile alleanza organica col Pd su tutto il territorio nazionale «il M5s va meglio quando corre da solo». È la sconfessione ufficiale della linea stabilita a Marina di Bibbona, quando Beppe Grillo, in combutta con gli ortodossi, impose al capo politico la virata a sinistra dopo la crisi del Papeete, riconsegnando a Giuseppe Conte le chiavi di Palazzo Chigi, ma senza “vice” a dettare l’agenda. Di Maio accettò per non “morire”, proprio come oggi rinnega la scelta per sopravvivere al fuoco amico proveniente da ogni area del suo Movimento: filo leghisti, come filo progressisti. Tutti uniti per chiedere un ridimensionamento del leader: da Gianluigi Paragone a Barbara Lezzi, passando per Danilo Toninelli e Davide Barillari. E il diretto interessato prova a non scontentare nessuno, riproponendo il vecchio slogan “né con la destra, né con la sinistra”, nella speranza di resistere ancora. «Siamo la terza via, che va oltre la destra e la sinistra. E questa diversità dobbiamo rimarcarla di più: da sempre rappresenta il nostro punto di forza», scrive in un lungo post su Facebook il capo politico. «In Umbria ci abbiamo provato, quello delle alleanze con altre forze politiche in occasione delle regionali era un tema che ci portavamo avanti da troppi anni. Adesso abbiamo la certezza che non rappresenta la soluzione». Il 7,3 per cento ottenuto domenica scorsa alle Regionali è l’ennesimo boccone amaro da dover mandare giù, dopo una lunghissima serie di sonore sconfitte a livello locale come europeo. E se il Pd riesce a galleggiare col suo 22,3 per cento, quasi un elettore grillino su due» preferisce non recarsi affatto alle urne, come certifica l’Istituto Cattaneo. E la ricetta per ritrovare il consenso perduto, secondo Luigi Di Maio, sta nel riscoprire la “neutralità” del Movimento. Senza però mettere in discussione l’attuale alleanza in Parlamento. «Il governo va migliorato e innovato per durare altri tre anni» anche se «dobbiamo dirci che il Movimento sia che stia al governo con la Lega o col Pd non ne trae giovamento», è il ragionamento del ministro degli Esteri, utile a tranquillizzare il presidente del Consiglio, che poco prima aveva commentato: «Un test regionale non può incidere, se non avessimo coraggio e lungimiranza sarebbe meglio andare a casa tutti». Del resto, se Di Maio rassicura, a mettere in guar- dia il premier ci pensa il vice ministro allo Sviluppo economico Stefano Buffagni, che commenta: «Secondo me il presidente Conte deve continuare a far bene il presidente come ha fatto, ricordandosi che è il presidente espresso del M5S, anche se super partes si era candidato nella squadra dei ministri del M5S. Conte deve ricordarsi di condividere maggiormente con noi», è l’avvertimento di chi ritiene quello col Pd un «esperimento fallito». Ma se Palazzo Chigi non è in discussione, almeno non per ora, la parola fine, semmai, sembra essere calata sulla riproducibilità dell’esperimento “coalizione” alle prossime competizioni regionali: Emilia Romagna e Calabria in primis. Oggi pomeriggio, il leader pentastellato incontrerà i parlamentari calabresi ( dal principio ostili a un’intesa coi dem alle Regionali) ed emiliani per fare il punto della situazione. Ma la linea sembra già tracciata: «Di Maio incontrerà i portavoce di queste regioni ma mi sembra evidente, visto come è andato l’esperimento umbro, pensare a qualcosa di simile in quelle due regioni. Lo escluderei», dice a Porta a Porta il sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano, cancellando con un colpo di spugna la foto di gruppo scattata a Narni insieme a Nicola Zingaretti e Robarto Speranza. Tutto da rifare. Ma se Atene piange, Sparta non ride. E così, anche l’altra metà del cielo governativo vive ore travagliatissime. Il segretario del Pd prova a stemperare le tensioni con gli alleati e con l’opposizione interna per non buttare alle ortiche lo sforzo di questi ultimi due mesi. «Va rilanciata in fretta una visione del futuro e un profilo riformista e di rinnovamento del governo. Va fatto insieme», scrive il numero uno del Nazareno. «Ma è ovvio che occorre voltare pagina. Mi auguro una nuova solidarietà nella coalizione e nella compagine del Governo Conte che non può essere un campo di battaglia quotidiana», insiste Zingaretti. «L’alleanza ha senso solo ed esclusivamente se vive in questo comune sentire delle forze politiche che ne fanno parte, altrimenti la sua esistenza è inutile e sarà meglio trarne le conseguenze», prova ad argomentare lasciando aperta la porta del dialogo. Ma anche tra i dem, come tra i grillini, c’è chi mette nel mirino l’intesa umbra pur da posizioni differenti, come il capogruppo al Senato Andrea Marcucci e l’ex presidente del partito Matteo Orfini. «Il matrimonio tra Pd e M5S in Umbria mette in evidenza tutti i limiti di alleanze costruite all’ultimo minuto e senza contenuti», dice il capo dei senatori. «Mi auguro che in vista delle prossime Regionali, il Pd discuta meglio con i territori se sia o meno il caso di presentarsi in coalizione. Meglio misurare il rapporto con i 5 stelle al governo e solo dopo decidere cosa fare», è il consiglio al segretario. Dello stesso avviso Orfini, che twitta: «Se perdi combattendo per le tue idee, sulla sconfitta puoi costruire. Se perdi sacrificando le tue battaglie ad alleanze innaturali, puoi solo perdere ancora», è l’analisi implacabile. «Torniamo a batterci per le nostre idee, anche se sembra difficile. Anzi, soprattutto perché sembra difficile».A osservare dall’esterno il logorio dei due principali partiti di governo c’è il leader della terza gamba, Matteo Renzi, il vero regista dell’operazione Conte bis, che sulla sconfitta umbra ha preferito non metterci la faccia. «Una sconfitta scritta figlia di un accordo sbagliato nei tempi e nei modi. Lo avevo detto, anche privatamente, a tutti i protagonisti. E non a caso Italia Viva è stata fuori dalla partita», dice l’ex premier. «Fare uno scontro tra l’alleanza organica Pd- 5 Stelle e l’alleanza sovranista è stato un errore in Umbria e se replicato ovunque in futuro apre a “Italia viva” un’autentica prateria». Ognuno pascola dove può.