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Avevano già pronto il discorso, l’annuncio, lo avevano limato per mesi: «Da oggi – questo lento declino finirà. La formula che ci ha portato sull’orlo del disastro economico non funziona più. Ora c’è un altro quadro. Nelle prossime ore, con successivi comunicati, vi saranno indicati i provvedimenti più importanti». L’uomo che era dietro tutto – il comandante in capo, il “principe” – aveva sulle spalle onori e medaglie conquistate sul campo, un’autorità, ma per gli adepti dei suoi colori anche qualcosa di più, da seguire ciecamente. Aveva raggranellato le sue truppe tra le formazioni che sapeva votate ai suoi stessi ideali, insofferenti, come lui, allo stato delle cose, che poi significava solo una cosa: stava andando tutto a rotoli. E occorreva un cambiamento. Drastico. Rapidità dell’esecuzione, segretezza fino al momento dell’annuncio, fedeltà degli accoliti – erano questi gli ingredienti per la riuscita. Ci avevano già provato altre volte, o almeno: avevano pensato altre volte di mettere in atto il loro piano. Ne avevano parlato e parlato e parlato. Stavolta era quella decisiva, ora o mai più: tutto si sarebbe giocato in ventiquattro ore. Magari sarebbero partiti in pochi – ma in milioni lo avrebbero seguito, lo avrebbero osannato, avrebbero tifato per lui, per loro. Gli eletti. Ne era sicuro. I congiurati si sarebbero piazzati nei punti strategici. Era più che prevedibile che ci sarebbero state delle reazioni e bisognava neutralizzarle. I mezzi di comunicazione erano il primo punto: bisognava occupare le stazioni televisive con il loro annuncio – non dare neanche il tempo di capire, lasciarli frastornati. Ma quello che lo preoccupava di più non era “il basso”, il popolo: al popolo, si sa, basta dare panem et circences. E qui proprio di circenses si andava trattando – ne avrebbero avuto, eccome. Come mai si erano visti, di circhi così. Erano le fazioni avverse che lo impensierivano – tutte quelle cose scadenti, decadenti che sopravvivevano e che si sarebbero sentite tagliate fuori, senza più voce in capitolo. Se si coalizzavano potevano essere una forza, fare resistenza, trovare un riscontro nelle istituzioni, persino qualche eco fra i suoi sodali, insinuare dei dubbi. Bisognava evitare che ciò accadesse, a costo di sequestrarli. Ma forse sarebbe bastato ammutolirli. E profittare della sorpresa. La chiave di tutto stava nell’appello ai valori: la fedeltà alla bandiera, l’appartenenza, il sentimento di fraternità della massa – non camminerai mai da solo: sentirsi parte di un progetto grande. C’era un’Europa che andava svegliandosi – Italia, Spagna, Germania ne sarebbero state l’asse, proprio come un tempo. Dei perfidi albionici non ci si poteva mai fidare davvero. Ma dall’America sarebbero arrivati i soldi, tanti soldi, che erano proprio necessari per riprendersi dalla crisi. Il momento decisivo era arrivato: mesi di preparazione, di incontri tenuti segretissimi, di contatti appartati e lontani da sguardi indiscreti. La tattica era stata proprio questa: lasciamogli credere che le cose scorrano tranquillamente. Se non se l’aspettano, l’effetto sarà doppio. Tutto era stato studiato nei minimi dettagli – in queste cose nulla poteva essere lasciato al caso. L’ora delle decisioni irrevocabili era scoccata. Lo schieramento in campo forse non era totale ma erano le avanguardie nazionali migliori, più coraggiose. Colpisci per primo, proprio come a Pearl Harbor. Ci si cominciò a muovere. Il dado era tratto. Avrebbero spezzato le reni a ogni resistenza. E all’improvviso arrivò una telefonata. Poi un’altra, poi un’altra ancora. E ancora un’altra. Bisognava fermare tutto – quello si sfilava, quello aspettava imbambolato, quello si rimangiava tutto. In una notte – il golpe era morto. P.s. Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, il “principe nero” Junio Valerio Borghese, fondatore di Fronte nazionale, tentò un colpo di Stato con Avanguardia nazionale. Quando tutto era pronto, una telefonata fermò ogni cosa. Ogni riferimento al “tentato golpe” della Super-Lega è assolutamente casuale.