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Una perizia sconfessata dalla comunità scientifica e prove mai analizzate. Sono questi gli elementi che hanno portato alla revisione del processo per un imprenditore di 45 anni, condannato in via definitiva a sette anni e mezzo con l’accusa infamante di aver abusato della propria figlia, all’epoca dei fatti di soli due anni. Oggi per l’uomo si terrà la prima udienza del processo di revisione davanti alla Corte d’Appello di Brescia, chiamata a decidere se analizzare o meno le nuove prove che la difesa ha presentato convinta della sua innocenza.
A partire dalle dichiarazioni di Claudia Squassoni presidente del collegio di Cassazione che rigettò il ricorso presentato da quel padre mettendo in cassaforte la condanna -, pronunciate durante un convegno all’università Bicocca il 14 ottobre 2016. Durante quel dibattito, Vittorio Vezzetti, pediatra ed ex consulente del condannato, parlò del caso e delle sue incongruenze, facendo saltare sulla sedia il giudice. «Se nel ricorso in Cassazione fossero state fatte le eccezioni che ha fatto il dottore disse Squassoni -, naturalmente avrebbe avuto un risultato diverso». Ma nel fascicolo c’era tutto. E ora tutto è stato riscritto nell’articolata richiesta di revisione firmata dall’avvocato Cataldo Intrieri, «basata sull’acquisizione di decisive prove scientifiche». Una richiesta accolta a luglio scorso e che contiene, tra le altre cose, la prova che la perizia che ha inchiodato l’uomo in tribunale non era scientificamente credibile. A stabilirlo una sanzione disciplinare inflitta il 26 gennaio 2017 dall’ordine degli psicologi della Lombardia al perito nominato dal tribunale di Como, censurato proprio per il suo lavoro in questo processo. La bambina, che oggi ha 9 anni, non ha infatti confermato nessun elemento dell’accusa durante l’incidente probatorio, definito perciò dal tribunale «deludente ed al di sotto delle aspettative, un insuccesso». I magistrati, dunque, chiedono un’altra perizia. Il nuovo consulente stila una relazione che ruota attorno alla fatidica domanda «dove ti ha fatto male papà?». Ma per l’ordine degli psicologi è inaccettabile, un manuale di tutto ciò che non andrebbe fatto. E dunque punisce il perito, che con quel documento, di fatto, ha accertato un disturbo clinico nella bimba giustificabile con un abuso. Il dottore, nel corso dell’audizione davanti all’ordine, fa un passo indietro, smentisce la sua relazione, ammette di non essere riuscito a effettuare una «intervista cognitiva» della piccola. Impossibile, dunque, dire cosa sia successo tra lei e il padre. E così tenta di sminuire il peso della sua perizia nel processo. Quella stessa perizia, sostiene Intrieri, che ha invece fatto condannare l’uomo.
Ma non solo: i giudici che lo hanno giudicato sono gli stessi del caso Renato Sterio, accusato dalla moglie e dalla suocera e condannato nel 2005 per i presunti abusi sulla figlia di 4 anni. Scontò l’intera condanna prima di una revisione del processo e prima di essere riconosciuto innocente. Una coincidenza strana, per Intrieri: «Molto difficilmente diversi giudici avrebbero assunto le stesse decisioni».
Gli abusi si sarebbero consumati nel 2010, nel periodo in cui i genitori della bambina decidono di separarsi. La situazione è ingarbugliata e conflittuale e i due si contendono l’affidamento della piccola. A luglio 2010 madre e nonna materna riferiscono alcune frasi che sarebbero state pronunciate dalla bimba e che testimonierebbero l’orrore: gli abusi compiuti dal padre utilizzando anche delle torce elettriche, sulle quali, però, non sono mai state eseguite analisi per rintracciare residui biologici. A supportare l’orribile tesi c’è la visita della pediatra di famiglia, che dopo aver «osservato - per sua stessa ammissione - “con un’occhiata” i genitali ne constatava la tumefazione ritenendola “compatibile”» con un abuso. Un esame avvenuto senza alcun criterio scientifico, senza referti né foto e senza nessuna esperienza pregressa del genere. «L’aspetto fondamentale di questa vicenda - spiega Intrieri - è che da un lato c’è la scienza, della quale non si tiene conto, dall’altra i giudici, che decidono di valutare secondo i propri parametri, svalutando il primo perito, che aveva evidenziato l’assenza di segni di trauma, e accogliendo le deduzioni del secondo, poi sconsacrato dal suo stesso ordine, fatto di scienziati. La cosa più drammatica - conclude - è il rifiuto che si possa mettere in dubbio la credibilità della parte offesa, sacrificando le garanzie costituzionali della difesa. Ad essere negata è ogni astratta possibilità di rigettare le accuse, basate su una perizia che crollando smonta tutto. Come se le prove scientifiche, in questo tipo di processi, non contassero nulla».