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Nonostante una prima parte dell’anno drammatica nelle carceri, con 57 suicidi nei primi otto mesi dell’anno, il carcere è il grande assente della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2022. Che il carcere non sia un tema da campagna elettorale non è certo una novità. Ma in questa campagna elettorale 2022, nonostante i dati gravi sui suicidi - 57 nei primi otto mesi dell’anno, quattro in meno del totale nei dodici mesi del 2021, a cui si aggiungono 19 decessi “per cause da accertare” -, il silenzio su questo mondo è pressoché assoluto. Ed è per questo che il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha lanciato un appello a tutti i partiti politici e ai loro leader. «Il carcere - si legge nell’appello - è assente non solo perché porta pochi voti e scarsi consensi, ma richiede anche uno sguardo ampio e prospettico capace di superare la tendenza di gran parte dell’attuale dibattito politico a guardare solo all'immediato».
Nell’appello il Garante nazionale invita le forze politiche e i candidati «a mettere al centro dei loro programmi il tema dell’esecuzione penale, non per proporre facili e talvolta vuoti slogan di bandiera ma per affrontare concretamente i problemi». L’appello invita i partiti a un deciso cambio di rotta, liberandosi dello scontro ideologico e ragionando in termini di utilità e funzionalità, nel quadro delineato dalla nostra Costituzione. Uno spunto di riflessione per una finalità che secondo il Garante deve essere comune: ovvero che il carcere sia un luogo adeguato per chi vi opera e funzionale per chi vi è ristretto, che dia la possibilità a tutti di tornare nella società.
Il Garante nazionale ritiene che alcune criticità del sistema possano trovare risposte comuni, su almeno quattro punti, al di là delle diversità di idee sul carcere. Proposte che non possono non trovare spazio nel dibattito preelettorale, nei programmi e negli impegni dei partiti e delle coalizioni. Sono quattro i punti che il Garante ritiene fondamentali e trasversali. Il primo. Un impegno dei territori ad aprirsi per istituire delle strutture di accoglienza e di controllo di quelle persone che invece attualmente per pene brevissime sono inutilmente in carcere; persone rappresentano una minorità sociale che rischia di trovare solo risposte di tipo reclusivo. Così decongestionando l’attuale sistema sovraffollato.
Il secondo. Un investimento culturale massiccio sull’istruzione e sulla formazione all'interno delle carceri: su quasi 55mila detenuti ce ne sono 1.200 che frequentano l'università ma anche 900 italiani e analfabeti. Il terzo. Una immissione importante di professionalità in carcere al fine di potenziare tutti i percorsi di connessione con il mondo esterno e anche con il suo fondamentale aspetto tecnologico: operatori sociali, educatori, psicologi, mediatori culturali, formatori professionali. Infine il quarto. Una maggiore assunzione di responsabilità da parte del Servizio sanitario nazionale che in carcere svolge una funzione complessa e impegnativa. Affrontare le difficoltà comportamentali e il disagio psichico deve essere una priorità. Una maggiore attenzione a chi in carcere opera.
«Sono alcuni punti su cui è possibile trovare convergenza - scrive il Garante nazionale -, fermo restando l’impegno civile di tutti a che il nostro Paese possa comunque avere a breve strutture detentive materialmente adeguate alla sua tradizione democratica» .