La Dc trattò con le Br”. Con questo titolo, il 16 marzo 1982, l’Unità pubblicò un articolo di Marina Maresca sul rapimento di Ciro Cirillo da parte delle Brigate rosse. Cirillo era stato presidente della Regione, era assessore regionale e in quel momento presiedeva la commissione regionale che doveva gestire gli appalti della ricostruzione, dopo il terremoto del 23 novembre del 1980. Fu rapito il 27 aprile 1981 e rilasciato il 24 luglio 1981, grazie al pagamento di un riscatto un miliardo e 450 milioni di lire. Il commando fu guidato dal capo della colonna napoletana delle Br, Giovanni Senzani, nell’attacco morirono il maresciallo di Polizia Luigi Carbone e l’autista Mario Cancello, mentre fu gambizzato Ciro Fiorillo, segretario del politico rapito.

Nell’articolo de l’Unità si faceva riferimento a un documento del ministero dell'Interno nel quale si affermava che alcuni politici Dc, in nome del potentissimo Antonio Gava della cui corrente Cirillo faceva parte, erano intervenuti per trattarne la liberazione, incontrando Raffaele Cutolo nel carcere di Ascoli Piceno. L’Unità, il giorno successivo, rincarò la dose e titolò un articolo della stessa giornalista “I dc che hanno trattato”, con il sottotitolo “Scotti e Patriarca dal boss Cutolo per concordare il riscatto di Cirillo”, nel quale si faceva sempre riferimento al documento attribuito al Viminale. La foto di uno stralcio del “falso” fu pubblicato il 18 marzo con il titolo “Ecco il documento che accusa”.

Quel documento mise in fibrillazione tutto il mondo politico italiano, ma le smentite sia della Dc sia del ministero dell’Interno arrivarono subito e nei giorni successivi anche alla direzione de l’Unità e ai vertici del Pci fu chiaro che quel documento era un falso. Dalle indagini risultò, infatti, che era stato confezionato da Luigi Rotondi, un confidente del Viminale, arrestato nel 1984 per presunta appartenenza alla camorra, con il quale Marina Maresca aveva una relazione. La stessa Unità il 24 marzo 1982 definì Luigi Rotondi “truffatore di professione” e “personaggio inserito in una ragnatela di torbidi traffici e oscuri legami”.

Il documento lo avrebbe compilato Aldo Semarari, criminologo e psichiatra di fama, un passato comunista e poi di estrema destra, autore di diverse perizie psichiatriche a favore di camorristi e mafiosi, indiziato e prosciolto per la strage di Bologna. Anche Semerari venne sequestrato e ritrovato a Ottaviano con la testa mozzata in una macchina nei pressi del castello comprato da Cutolo. Prima, però, fu costretto a scrivere una lettera in cui si attribuiva la paternità del falso documento.

Dopo la scoperta della falsità di quel documento il direttore de l’Unità, Claudio Petruccioli, e il condirettore Marcello Del Bosco si dimisero, Marina Maresca fu licenziata, processata ma, nell'ottobre 1989, assolta dall'accusa di falso Il 15 aprile Emanuele Macaluso assunse la direzione del giornale. Arrivarono le pubbliche scuse alla Dc e il capogruppo comunista Giorgio Napolitano alla Camera disse: «La lotta politica nel nostro Paese è stata in questi decenni spesso aspra e anche molto aspra: e uomini nostri sono stati oggetto di duri e ingiusti attacchi, ma noi non abbiamo mai inteso, certamente neppure in questa occasione, ricorrere alle armi spregevoli dell’insinuazione e della calunnia».

Il “caso Cirillo” però non finì lì. La trattativa per liberare il politico ci fu eccome, anche se le istituzioni, lo Scudo crociato e anche la famiglia la negarono. A differenza del caso Moro la Dc tre anni dopo decise di trattare con le Br. Carlo Alemi, giudice istruttore del Tribunale di Napoli, il 28 luglio 1988 depositò una sentenza-ordinanza di 1.531 pagine con il rinvio a giudizio di Cutolo e altri 14 imputati, nella quale veniva anche documentato come alcuni esponenti della Dc avevano avviato una trattativa con il boss della camorra, chiamando in causa anche l'ex ministro Antonio Gava.

Secondo la ricostruzione del giudice Alemi, il giorno dopo il rapimento di Cirillo il Sisde chiese e ottenne l'autorizzazione per avere contatti con Cutolo, detenuto ad Ascoli Piceno, che per lui era “Grand Hotel Ascoli”. Ci furono tre incontri: con funzionari del Sisde, accompagnati da Giuliano Granata (sindaco di Giugliano ed ex segretario di Cirillo) e Vincenzo Casillo, luogotenente di Cutolo. Poi con ufficiali del Sismi e altre persone come Francesco Pazienza. Cutolo riuscì a contattare le Br attraverso dei terroristi di sinistra detenuti affiliati alla Nuova Camorra Organizzata, trasferiti per questo motivo nel carcere di Palmi mentre un altro gregario di Cutolo fu spostato a Nuoro, dove riuscì ad agganciare i brigatisti Roberto Ognibene e Alberto Franceschini. In cambio del suo interessamento a Cutolo, furono promessi circa un miliardo e mezzo di lire, perizie psichiatriche compiacenti e una fetta degli appalti per la ricostruzione del dopo-terremoto del 1980.

Tutte circostanze confermate dallo stesso don Raffaele in un'intervista a La Repubblica del febbraio 2006: «Mentre era in corso il sequestro vennero da me, in carcere ad Ascoli Piceno, un sacco di persone: politici, agenti dei servizi segreti, mediatori. Un influente politico della Dc mi disse che dovevo intervenire con ogni mezzo per salvare la vita dell'assessore. Che in cambio avrei ottenuto il controllo di tutti gli appalti della Campania. Cirillo fu liberato ... I soldi in carcere li usavo per comprare da mangiare e da vestire ai detenuti. Ma il caso Cirillo, chissà perché segnò definitivamente il mio destino, per ringraziamento mi hanno mandato “in ritiro spirituale”». Cioè all’Asinara. Una versione ripresa anche da Giuseppe Tornatore nel film “Il camorrista” del 1986, liberamente tratto dal libro di Giuseppe Marrazzo del 1984. Ben Gazzara, che interpretava il boss detenuto in carcere, stringe la mano in segno di saluto a un potente politico e gli chiede: “Senatore, spiegatemi una cosa. Perché cercate di salvare in tutti i modi la vita di questo semplice assessore, quando appena ieri si è lasciato assassinare il presidente del vostro partito?”. E il politico risponde: “Voi siete un uomo di potere e queste cose le potete capire da solo”.

Nel 1989, nel processo di primo grado scaturito dalle indagini di Alemi, il Tribunale di Napoli condannò Cutolo a due anni e dieci mesi di carcere per falso e tentata estorsione, perché usò il falso documento pubblicato su l'Unità per estorcere favori allo Stato, l'ex direttore del carcere di Ascoli Piceno, Cosimo Giordano, a dieci mesi e otto mesi alcune guardie carcerarie. Tutti gli altri imputati (compresi Luigi Rotondi, Claudio Petruccioli e Marina Maresca) furono assolti o prescritti. Nel 1993 il processo d'appello capovolse la sentenza di primo grado, assolvendo Cutolo e gli altri condannati, riconoscendo però l'esistenza della trattativa e le deviazioni dei servizi segreti nella vicenda.

La trattativa per liberare Cirillo era stata accertata già nel 1984 dal Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza, presieduto dal senatore Libero Gualtieri, che pubblicò una relazione sul caso nella quale si affermava che “vi erano stati fatti di gravissima degenerazione e deviazione dei nostri servizi di sicurezza”. Nella relazione sulla camorra, presentata nel 1993 dalla commissione parlamentare Antimafia, presieduta da Luciano Violante, a proposito del caso Cirillo si diceva che “la negoziazione, decisamente smentita nei primi tempi, è oggi riconosciuta senza infingimenti”.

Le indagini del giudice Carlo Alemi diventarono un caso nazionale: sotto accusa la Dc e il ministro degli Interni. Le opposizioni, in particolare il Pci, ne chiesero le dimissioni. Ma alla fine fu proprio Alemi a essere imputato: il 3 agosto il presidente del Consiglio, Ciriaco De Mita, lo definì “ un giudice che si è posto fuori dal circuito istituzionale”. Nel febbraio del 1990 Alemi venne assolto e la legittimità dei suoi atti riconosciuta in due processi. Intervistato da Repubblica nel 2017 ribadì: «Un caso chiaro, per me. È la prima volta che l'intervento della camorra in una trattativa con lo Stato è stata riconosciuta nella sentenza di II grado e in Cassazione, negli atti delle Commissioni parlamentari sui servizi segreti e sulla camorra». E dopo 37 anni, nel 2018, lasciata la magistratura, scrisse “Il caso Cirillo. La trattativa Stato-Br-camorra', un libro dove riporta le vicende sulle quali indagò e, come scrisse Massimo Bordin su Il Foglio il 1° novembre 2018, “in cui evidenzia la scelta della procura, da lui non condivisa, di tenere fuori i politici dal processo”.