Il primo dibattito tra Joe Biden e Donald Trump si conclude nella disperazione degli staff e degli elettori democratici: se il presidente in carica doveva tranquillizzare sulla sua tenuta fisica e mentale, i 90 minuti in diretta sulla CNN (ma in realtà a reti unificate) sono stati un disastro.

Biden aveva una voce rauca e tremante - secondo i suoi, stava riprendendosi da un raffreddore - ha balbettato, si è perso nei concetti ed è riuscito a sferrare pochi colpi sui tanti punti deboli del suo rivale. Soprattutto nella parte iniziale, i suoi 81 anni sono stati evidenti, tanto che persino la vice-presidente Kamala Harris ha dovuto ammettere che si è trattato di un «avvio lento».

Sul finale Biden ha portato a casa qualche punto, ma forse era troppo tardi: la sensazione degli spettatori (si preannunciano grandi ascolti) era già univoca, e c’è chi tra i donatori e nel suo partito, come Nadia Ahmad, membro del Democratic National Committe, chiede che il presidente faccia un passo indietro per lasciare che il partito scelga un altro candidato. Trump, dal canto suo, ha offerto uno spettacolo già visto: un mix di spacconaggine, qualche bugia (i moderatori avevano deciso che il fact-checking non era compito loro), ma anche qualche battuta memorabile, come quando Biden si è impappinato sul tema della salute e ha chiuso una frase dicendo «We beat Medicare», abbiamo sconfitto (o picchiato) l’assicurazione sanitaria federale, e Trump ha colto l’occasione per dire «Sì, l’hai picchiata a morte».

In campo democratico il panico è iniziato ben prima della prima pausa pubblicitaria nel dibattito tv. Biden può essere sostituito? Chi dovrebbe sostituirlo? Dato che la convention democratica di Chicago sarà solo tra due mesi, sostituire Biden potrebbe essere facile, a patto, ovviamente, che decida di farsi da parte. Secondo le regole che governano la convention, un eventuale cambiamento di candidato sarebbe praticamente impossibile senza il consenso di Biden, e ogni tentativo golpe contro di lui potrebbe spaccare il partito, provocando l’alzata di scudi da parte dei delegati eletti durante le primarie, al 99% fedeli a Biden.

Mettendo da parte la questione se sia probabile che ciò accada, il suo ovvio successore sarebbe il suo vicepresidente, Kamala Harris. Ma secondo The Hill, sarebbe una scelta che non migliorerebbe di molto la situazione. Harris potrebbe anche essere addirittura meno popolare di Biden e potrebbe essere già ora il prossimo obiettivo di Trump che con ogni probabilità comincerà da subito a sostenere che, se dovesse vincere, «Nonno Joe» sarebbe rapidamente messo da parte per far posto al suo successore «ultra progressista».

Se i democratici credono davvero che Donald Trump rappresenti una minaccia esistenziale per la democrazia americana, allora sia Biden che Harris dovrebbero farsi da parte. In tal caso la soluzione d’emergenza sarebbe Gretchen Whitmer, popolare governatrice del Michigan, in ticket con Josh Shapiro, governatore della Pennsylvania. Whitmer è apprezzata a livello nazionale e Biden è attualmente indietro sia nel Michigan che in Pennsylvania. Anche Roy Cooper, governatore uscente della Carolina del Nord, sarebbe un’interessante scelta come vicepresidente, soprattutto se Biden si facesse da parte e Harris diventasse il candidato. Naturalmente, ci sono problemi nel nominare Whitmer, compreso il rischio di alienare gli elettori afroamericani.

Ma c’è una buona ragione per cui un biglietto Whitmer/Shapiro supererebbe quello Biden/Harris. Dopo la performance in tv, la campagna di Biden sarà strettamente un referendum su Donald Trump piuttosto che un voto di fiducia per altri quattro anni di Joe Biden e Whitmer, o qualcuno come lei, può conquistare gli indecisi e i ’double haters’, quei “doppi odiatori” che non voterebbero né per Biden né per Trump. In un’elezione che potrebbe essere decida da poche migliaia di voti, ciò potrebbe fare la differenza. Stiamo comunque parlando di fantapolitica: con ogni probabilità Biden uscirà dalla convention democratica come candidato del partito e a quel  punto la scelta sarà nelle mani degli americani, dall’Alaska alla Florida.

Gli altri nomi che circolano sono nomi di fedelissimi del presidente, come Newsom - che secondo alcuni lo scorso anno aveva tastato il terreno con una «campagna ombra» per la Casa Bianca ma ora è impegnato per la rielezione di Biden - e il collega governatore dell’Illinois J.B. Pritzker. E poi c’è Michelle Obama, l’ancora popolarissima ex first lady che da anni continua però a negare categoricamente ogni sua intenzione di darsi alla politica.