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A questo punto la mobilitazione è completa. E forte. Perché dopo la dialettica consumatasi per settimane fra la presidenza del Consiglio di Stato e gli avvocati amministrativisti, in particolare l’Unaa, a intervenire sui processi dinanzi a Consiglio di Stato e Tar è il Cnf. Lo fa con una delibera, trasmessa due giorni fa al premier Giuseppe Conte, allo stesso vertice di Palazzo Spada Filippo Patroni Griffi e, per conoscenza, al guardasigilli Alfonso Bonafede, in cui chiede di modificare la norma, inserita nel Dl “Liquidità”, che «non consente la partecipazione dei difensori alle udienze da remoto». La massima istituzione forense ritiene «non sacrificabile», pur nelle «difficoltà» della emergenza coronavirus, il diritto a una «effettiva partecipazione dei difensori al procedimento amministrativo», come si legge nella nota con cui la presidente facente funzioni del Cnf Maria Masi accompagna il documento deliberato dal plenum dell’avvocatura di lunedì scorso.
È un punto di caduta decisivo. Il Consiglio nazionale forense interviene quale organo istituzionale a sollecitare il governo affinché rimuova una situazione di stallo, non priva di risvolti paradossali. Forse il più evidente è un contrasto: da una parte il sacrificio chiesto agli avvocati, vista l’emergenza sanitaria, in tutti gli altri campi della giurisdizione, nel penale ma anche nel civile, per i quali le udienze da remoto sono vissute come parziale rinuncia alle garanzie; dall’altra l’impossibilità di accedere alle udienze virtuali proprio in quell’unico ambito, il processo amministrativo, in cui sono le associazioni forensi specialistiche, in primis la ricordata Unaa ( Unione nazionale avvocati amministrativisti) a chiedere almeno quel succedaneo dell’oralità processuale vera e propria.
Come è possibile che il processo da remoto non si riesca a svolgere nell’unico ambito in cui è la stessa classe forense a invocarlo? È spiegato sempre nella dettagliatissma delibera inviata due giorni fa dal Cnf al governo e al presidente del Consiglio di Stato, che lunedì aveva a propria volta compiuto considerazioni non troppo distanti in un documento interno. Ebbene, il nodo non è tanto nel decreto 23 del 2020, quanto nel presupposto ordinamentale che ha reso forse inevitabile le restrizioni del Dl “Liquidità”: vale a dire il decreto del presidente del Consiglio dei ministri 40 del 2016, che contiene, come specifica la delibera del Cnf, «la riserva regolamentare statale per la disciplina tecnica del processo amministrativo telematico». In pratica, ad oggi, può essere solo un regolamento emanato da Conte ad aprire i collegamenti in videoconferenza anche agli avvocati amministrativisti. Se la “riserva” fosse eliminata, ricorda il Cnf, si consentirebbe di fatto «al presidente del Consiglio di Stato, l’immediata regolamentazione delle udienze da remoto anche nella giustizia amministrativa, limitata alla fase emergenziale». Il discorso vale, chiarisce infatti il Consiglio nazionale forense, fino al termine della “fase 2”, cioè fino al 30 giugno. «Al termine di essa», puntualizza ancora il documento votato lunedì dal plenum dell’istituzione forense, si dovrà certamente prevedere la «pienezza del contraddittorio con il ritorno all’ordinaria oralità tra presenti in aula».
La sovrapponibilità fra le richieste dell’avvocatura forense e gli stessi auspici di Patroni Griffi è visibile. Ed è altrettanto notevole la condizione difficile degli avvocati segnalata sia dal documento diffuso dieci giorni fa dall’Unaa sia dalle posizioni assunte da «Unioni regionali forensi e Ordini territoriali», come ricorda il Cnf. Ne è un esempio la nota inviata una settimana fa al governatore Fontana da alcune associazioni di amministrativisti lombardi ( la Società lombarda degli avvocati amministrativisti e le Camere amministrative di Lombardia orientale, Monza e Brianza e dell’Insubria). Da una parte l’attività di Tar e Consiglio di Stato dal 16 aprile è già ripresa e costringe il difensore a una rischiosa presenza in studio, dall’altra il sacrificio s’infrange sull’impossibilità di una discussione orale, seppur da remoto.
Siamo «ben consapevoli delle difficoltà ingenerate dall’emergenza sanitaria in corso», scrive la presidente Masi nella nota trasmessa a Conte, Patroni Griffi e Bonafede. Ma con le modalità da remoto quel «diritto a una effettiva partecipazione dei difensori al procedimento amministrativo» sarebbe almeno in parte tutelato. Servono, certo, norme precise, più poteri a Palazzo Spada e investimenti per adeguare gli «standard di sicurezza, riservatezza e stabilità», come chiesto da Patroni Griffi. Ma la tutela dei diritti, è il caso di dire, non ha prezzo.