PHOTO
In Italia era cominciata e in Italia è finita l’epopea europea di Anis Amri, il tunisino ricercato per la strage al mercatino di Berlino. È finita sul marciapiede di piazza Primo Maggio a Sesto San Giovanni, hinterland milanese, alle 3 e 30 circa di ieri mattina, freddato da due colpi partiti dalla pistola di Luca Scatà, poliziotto di 29 anni al nono mese di prova. Scatà e Christian Movio, che di anni ne ha 35, stavano pattugliando la zona quando hanno notato un uomo che si aggirava solitario con uno zaino in spalla. I due si sono avvicinati e, notata l’origine maghrebina, hanno deciso di fare un controllo più approfondito. Il ragazzo fermato parlava un buon italiano e alla richiesta di mostrare i documenti ha risposto di essere calabrese e di averli dimenticati da qualche parte. Quando i poliziotti gli hanno chiesto di svuotare lo zainetto, il ragazzo ha estratto una pistola e ha fatto fuoco contro Movio, colpendolo alla spalla. Scatà, a pochi passi dal collega, ha reagito uccidendo il tunisino con due colpi di pistola. Quello che sembrava un controllo di routine si era trasformato in uno scontro a fuoco, ma la sorpresa più grande è arrivata con l’identificazione del cadavere: si trattava di Amri, il 24enne tunisino ricercato per l’attentato di lunedì scorso a Berlino che ha causato 12 vittime e una cinquantina di feriti.
L’identificazione è avvenuta grazie al riconoscimento facciale e alle impronte digitali, ma l’operazione della polizia non è nata dalle indagini dell’antiterrorismo: «Gli agenti non avevano intuito che il sospettato fosse il ricercato, altrimenti sarebbero stati più cauti. - ha detto il questore di Milano Antonio De Iesu in conferenza stampa - L’operazione è frutto della straordinaria attività di controllo del territorio, di prevenzione e del fatto che i due operatori avevano deciso di controllare un extracomunitario, come detto da noi con molta intensità».
Adesso si tratta di capire il per- corso di Amri e perché si trovasse in Italia, da solo, a quell’ora. Che Amri fosse un affiliato del gruppo Stato Islamico è ormai assodato. Ieri il sito Amaq, megafono della propaganda jihadista, ha diffuso un video autoregistrato in cui il tunisino giura fedeltà al Califfo Abu Bakr al Baghdadi, dichiara la sua vocazione al martirio per «punire i mangiatori di maiale occidentali per i raid contro i musulmani» e incita i «confratelli» a fare altrettanto. La ricostruzione del passato di Amri, sbarcato a Lampedusa nel febbraio 2011 e sparito in Germania nell’inverno 2015 nonostante fosse sotto controllo, racconta di una sua progressiva radicalizzazione. Quello che non è chiaro è se abbia agito da solo o con dei complici.
Nel suo zaino c’erano solamente qualche centinaia di euro, un coltellino, una sim senza cellulare e i biglietti del treno da Chambery per Milano. Amri è partito dalla Francia giovedì pomeriggio, è arrivato a Torino Porta Susa alle 20 e 30 e si è fermato per tre ore. Poi ha preso il treno per Milano, dove è arrivato intono all’una di notte. Non è ancora chiaro con quale mezzo il ricercato sia giunto a Sesto San Giovanni, né se stesse aspettando qualcuno o avesse intenzione di continuare il suo viaggio: «È tutto materia di indagine» ha detto De Iesu. Gli inquirenti dovranno appurare se il presunto terrorista fosse parte di una cellula o se stesse tentando di raggiungere il dud Italia, magari con l’intenzione di percorrere quella rotta del jihad al contrario che esisterebbe fra la Sicilia e la Libia.
Nel frattempo Scatà e Movio sono stati oggetto di ringraziamenti da parte delle istituzioni italiane e tedesche, Merkel in primis. Movio è ancora ricoverato all’ospedale di Monza, dove i dottori gli hanno estratto il proiettile dalla spalla. Sta bene e già oggi potrebbe essere dimesso. Al vice presidente della Lombardia Fabrizio Sala che è andato a trovarlo in ospedale ha detto di «essere contento di essere stato utile in questo “marasma” che sta succedendo in Europa».
Ma intorno ai due poliziotti sta montando anche un caso, sollevato da esponenti politici e soprattutto dal sindacato di polizia Coisp: «È stata una follia rendere noti i nomi e le foto dei poliziotti che hanno fermato il killer di Berlino. C’è il timore che gli agenti, ma anche le loro famiglie, possano subire delle ritorsioni da parte dei terroristi islamici» ha detto il segretario generale Franco Maccari. A rendere noti i loro nomi è stato il ministro dell’interno Marco Minniti nel corso della conferenza stampa di ieri mattina. Un timore evidentemente fondato, dato che nel pomeriggio il capo della polizia Franco Gabrielli ha diramato una circolare nella quale si invita a prestare la «massima attenzione per la possibilità di eventuali azioni ritorsive nei confronti dei poliziotti e delle altre forze dell’ordine». Sui social però è tutto un proliferare di pagine Facebook in onore dei due poliziotti, mentre l’account su Instagram di Scatà, dove figuravano foto e post chiaramente inneggianti al fascismo, è subito sparito.