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Il parere del Comitato nazionale di bioetica è un monito rivolto al Parlamento perché legiferi sul suicidio assistito. Come diceva ieri su questo giornale la bioeticista Luisella Battaglia non si devono lasciare sole le persone che, gravemente malate, non riescono più ad andare avanti e vogliono morire nel modo che loro ritengono più dignitoso.
E’ vero, è un tema divisivo, ma più per la politica che per le persone. Se infatti si parla con gli uomini e le donne di questo Paese si capisce una cosa molto semplice: quella che spesso assume i connotati di una battaglia ideologica, è nel quotidiano l’esperienza diretta di moltissime persone. E’ raro trovare una famiglia che a un certo punto non abbia dovuto affrontare la sofferenza di un proprio caro e non abbia dovuto sperare nell’aiuto di un medico o nel conforto della legge per far sì che smettesse di soffrire. Non è mancanza di rispetto per la vita, è al contrario affermare la sua centralità, mettendo in risalto libertà e autodeterminazione del singolo. La legge, in ogni caso, non obbligherebbe nessuno a compiere scelte che non ritiene consone con il proprio sentire, ma darebbe la possibilità a chi vuole di avere il supporto necessario, senza dover andare all’estero o doversi nascondere.
Sarebbe un passo avanti di civiltà. E’ però importante che l’approvazione di una legge sia accompagnata da un dibattito degno di un Paese civile. Da qui lo sforzo del Comitato nazionale di bioetica di fornire tutte le argomentazioni necessarie per capire le diverse posizioni. La discussione in Parlamento e nell’opinione pubblica si dovrebbe cioè fondare sui dati di realtà, senza storpiature, senza allarmismi, senza muri. E’ importante che i cittadini e le cittadine vengano informati nel migliore dei modi e vengano messi nelle condizioni di scegliere che cosa sia meglio per loro. Purtroppo veniamo da decenni in cui tutto ciò che riguarda la bioetica è stato stravolto dallo scontro politico, messo in mezzo a una disputa in cui spesso la vita e la morte sono espedienti per dire altro. Il rapporto tra corpo e nuove tecnologie è forse il tema che crea più angoscia, perché evoca un potere spesso incontrollabile e ci mette nelle condizioni di creare o allungare la vita fuori da ciò che, fino a qualche anno fa, definivamo naturale. In realtà anche quell’idea di naturale scaturiva dalla cultura e dalle conoscenze che la storia ci ha consegnato. Oggi però il livello della tecnologia è tale che serve una riflessione e una legislazione che garantiscano il singolo rispetto alla propria dignità e alla propria consapevolezza. E’ un campo pieno di insidie, nodi, paure, ma anche opportunità. Tutto dipende da come lo si percorre, da come questi temi vengono affrontati.
Per questo la sfida che anche la Consulta ha lanciato al Parlamento perché legiferi ha una valenza così importante. Non si riuscirà entro il 24 settembre come fissato dalla Corte costituzionale, ma è importante che si inizi a discutere. La valenza sarebbe doppia: dare una legge sul tema del suicidio assistito e ridare al Parlamento quel ruolo che spesso viene calpestato. Spetterebbe proprio alla politica offrire al Paese l’opportunità di una discussione serena che crei un minimo comune denominatore tra le diverse posizioni, nel rispetto di tutti i punti di vista. Il legislatore dovrà poi fare una sintesi, non dimenticando la sofferenza di chi chiede - come ha detto Luisella Battaglia - di non essere lasciato solo. Comunque la si pensi, credo che questa richiesta possa e debba essere compresa da tutti.