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La formula chiave, quella attorno a cui ruota il compromesso si chiama «sospensione concordata». Un modo per non decidere, o meglio, per rimandare la decisione in attesa delle elezioni europee di maggio. Così, con 190 voti favorevoli e tre contrari, l’assemblea del partito popolare europeo per ora non espelle dai suoi ranghi gli ungheresi di Fidesz, la formazione guidata da Viktor Orban, accusata di derive populiste, nazionaliste e xenofobe incompatibili con la cultura politica del Ppe e molto più vicine alle posizioni della destra radicale di Matteo Salvini e Marine Le Pen, per citare due nomi noti.
Spetterà a un comitato di tre saggi decidere «a tempo debito» la sorte dell’uomo forte di Budapest e del suo partito. Nel frattempo tutto resta nel limbo, soluzione che la stessa Fidesz ha accettato di buon grado nonostante Orban non abbia avuto nessun ripensamento sulla sua linea politica.
Al contrario nel suo intervento prima della votazione ha rivendicato i suoi successi, accusando da parte sua il Ppe di aver tradito la sua missione: «Io incarno i valori del Ppe, che sono quelli della vita, della famiglia e dell’impresa, siete voi ad averli dimenticati, per la cultura liberale esiste l’Alde, ma noi siamo un’altra cosa, l’unica cosa su cui siamo d’accordo è che non siamo d’accordo». Nonostante la sfida aperta ai colonnelli del Ppe Orban si è espresso con toni pacati e non ha sbattuto la porta come invece aveva minacciato alla vigilia in caso di sospensione del suo partito.
Il compromesso di ieri è un modo per guadagnare tempo per entrambe le parti anche perché il risultato delle elezioni europee potrebbe cambiare nettamente i rapporti di forza al parlamento di Strasburgo. E’ certo che all’interno del Ppe in molti vorrebbero cancellare ogni traccia di Fidesz dalle proprie fila, in particolare la Cdu di Angela Merkel che oltre a essere il partito con più eurodeputati del gruppo è in prima linea nella guerra alle idee di Orban.
Inoltre i liberali dell’Alde, nemici giurati di Fidesz affermano da tempo che non avranno alcuna collaborazione con il Ppe fino a quando Orban ne farà parte.
Insomma gli elementi per un divorzio breve sono tutti in campo, come lo è la volontà di entrambi gli schieramenti di mettere termine a questa relazione indesiderata, solo che una rottura traumatica in questo momento non conviene a nessuno. Ma che il matromonio tra il sovranista Orban e gli europeisti del partito popolare è già finito da un pezzo.