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La recente storia del superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari rischia di diventare il paradigma di quelle cure che lungi dal risolvere il malanno ne favoriscono la metastasi. Pensata per lasciarsi definitivamente alle spalle strutture troppo spesso simili a discariche medioevali per i folli- rei, la legge 81/ 2014 vede svanire, già nella sua applicazione, il lavoro di riforma che l’ha guidata e il profilarsi del quanto mai concreto rischio di partorire tanti mini- Opg all’interno degli istituti penitenziari.
La si potrebbe definire una riforma applicata in modo distratto, senza lo slancio ideale che guidò la chiusura dei manicomi facendo insieme crescere la società in un nuovo approccio verso la malattia mentale. Certo, oggi ai folli rei la politica è poco interessata e l’ambiente sociale, stimolato a dovere con allarmi securitari, è distante anni luce dalla stagione del- le speranze degli anni Settanta.
Ed è anche a causa di questa distrazione che, da quando sono stati “superati” gli Opg, si è venuto a creare un nuovo e allarmante fenomeno all’interno dei siti carcerari. Prima della riforma contenuta nella legge 81/ 2014, per i detenuti che incorrevano nell’infermità psichica nel corso dell’esecuzione della pena era previsto il trasferimento in Opg per l’accertamento dell’infermità mentale ( art. 111 DPR 230/ 2000). La nuova dimensione della cura riabilitativa per i malati di mente autori di reato, organizzata secondo il principio della territorialità in Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza ( Rems) a dimensione regionale, esclude specificamente dal proprio ambito di interesse e applicazione i detenuti che incorrono nella infermità psichica nel corso dell’esecuzione di pena. Per “occuparsi” di costoro, sia per l’accertamento diagnostico che per gli interventi terapeutici, la soluzione è oggi quella di creare nel carcere, sezioni speciali per osservandi e “minorati psichici”, strutture previste da numerosi accordi della conferenza Stato- Regioni e dal Dpcm del 1 aprile 2008, che disciplina il passaggio delle funzioni sanitarie dall’amministrazione penitenziaria alle Regioni.
Come se ciò non bastasse, anche all’interno dei percorsi previsti per i malati di mente autori di reato si sta creando un allarmante ingorgo gestionale e amministrativo intorno all’inserimento in Rems, con il formarsi di vere e proprie liste di attesa. Ad ottobre 2016 le persone in attesa del trasferimento nelle strutture per l’esecuzione delle misure di sicurezza erano 241 ( 176 con misure provvisorie e 65 definitive). Tutto ciò sta accadendo perché le 30 Rems attualmente in funzione sul territorio nazionale sono già piene: la capienza ad oggi è, infatti, di 624 posti letto. L’indebolimento a livello territoriale dei Dipartimenti di salute mentale e delle comunità terapeutiche psichiatriche aggiungono gravami alla già triste situazione. Ecco quindi che il cerchio dell’ingorgo si chiude in carcere, dove finiscono per esser piazzate in attesa molti che dovrebbero essere accolte in una Rems, ma non vi trovano posto. Ed è così che malati di mente autori di reato vanno a sommarsi agli osservandi e ai minorati psichici.
È bene, infatti, ricordare che le misure di sicurezza emesse nei confronti dei malati di mente autori di reato derivano dal giudizio di pericolosità sociale e necessitano, per legge, non tanto della privazione della libertà, quanto di cure psichiatriche. Cure che, come andiamo denunciando da anni noi radicali non si possono attuare in sezioni speciali psichiatriche all’interno dei plessi penitenziari, sulla cui creazione siamo fortemente contrari da sempre. In carcere, è plausibile, al massimo, concepire l’organizzazione della fase di osservazione diagnostica dello stato di infermità mentale. Ma non certamente l’attuazione delle cure psichiatriche. In carcere non si cura nulla perché è il carcere che fa ammalare. Eppure, nel silenzio intorno a questa riforma distratta, queste sezioni stanno nascendo ed il rischio concreto è quello di dar vita in breve tempo a tanti mini- Opg all’interno degli istituti penitenziari, vanificando il lavoro di riforma della legge 81. Devono, inoltre, ancora essere risolti i problemi della redistribuzione dei pazienti in Rems nel pieno rispetto del principio di territorialità, in particolare per le donne, la corretta applicazione delle misure di sicurezza provvisorie, la riforma del principio di pericolosità sociale che permette il nefasto ' doppio binario” retaggio penale del Codice Rocco, le liste di attesa per le Rems, il potenziamento dei Dipartimenti di salute mentale e delle comunità terapeutiche psichiatriche, la mancanza della necessaria gradualità, da parte della magistratura, nell’invio in Rems, considerate dalla legge come strutture terapeutiche residuali per i casi più gravi.
Così come siamo attenti a recuperare quel senso di umanità e di rispetto dello Stato di Diritto in relazione al principio costituzionale del diritto alla salute di tutti i cittadini, compresi i detenuti e gli internati psichiatrici, noi radicali abbiamo sempre denunciato i fallimenti delle politiche penitenziarie alternative all’esecuzione di pena in carcere cercando di contrastarli. Lo abbiamo fatto, e lo stiamo facendo, con la lotta nonviolenta, gli scioperi della fame, le visite negli istituti penitenziari, perché la politica e l’opinione pubblica siano riscosse da questa perenne distrazione e tornino a interrogarsi su questo terribile antro della amministrazione della giustizia in Italia che è il pianeta carcere con i suoi satelliti, un girone dantesco nuovamente sovraffollato e pieno degli orrori derivanti dall’assenza di cura.