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Il cuore del Partito Democratico in salsa zingarettiana cerca di rinsaldare le sue radici storiche a sinistra, la testa però continua ad andare da un’altra parte. In particolare, quando si tratta di scegliere i nomi dei candidati.
Ormai scesi a patti con la logica della società civile - con l’obiettivo di agguantare i 5 Stelle con il famigerato “patto civico” - i dem alla ricerca di nomi spendibili pescano sempre da un unico pozzo: quello dell’imprenditoria locale.
Una scelta perfettamente legittima, forse figlia di una certa retorica del fare secondo cui solo chi si è fatto le ossa nei gorghi dell’economia locale sarebbe in grado di padroneggiare un’amministrazione. Una scelta, però, che va in una direzione ideale precisa: l’amministrazione di un territorio è simile a quella di un’impresa, dunque chi meglio di un imprenditore può guidare “l’impresa- Regione”.
Se un’equazione di questo tipo era comprensibile nella retorica dell’eccellenza cara all’ex segretario Matteo Renzi ( e ad una visione economica liberale, come quella che sta proponendo come asse di Italia viva, in cui spera di imbarcare anche i moderati di Forza Italia), meno bene si sposa con la visione prospettata dall’attuale segretario del Pd, Nicola Zingaretti, che con quella tradizione condivide assai poco.
Eppure, in Umbria il Pd zingarettiano ha sperato prima di potersi affidare al re del cashmere Brunello Cucinelli, poi ha dovuto ripiegare ( perdendo) su Vincenzo Bianconi, imprenditore nel settore alberghiero. Lo stesso sta facendo in Calabria, dove i nomi della società civile ( che dovranno sfidare anche l’uomo di partito e governatore dem uscente Mario Oliverio) hanno spaziato dal re del tonno Pippo Callipo, all’editore Rosario Rubettino, per poi ricadere sull’imprenditore Maurizio Talarico.
Un riflesso pavloviano che dimostra quanto il modello berlusconiano sia più lontano dal tramonto rispetto allo stesso Cavaliere. Nella rosa dem, nemmeno per sbaglio, sono entrati altri profili: docenti universitari, professionisti o esponenti della cultura. Il primato dell’economia, ormai, è sancito.
L’idea che l’ unico depositario sia chi fa impresa e non chi la declina sul piano culturale, però, è una questione che il Pd zingarettiano che rispolvera ideali labour dovrebbe chiarire. Darebbe un senso alla sua stessa natura.