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«L’accordo su Conte è chiuso». Nonostante le prudenze del Pd, in serata, da ambienti Cinquestelle, la notizia che Sergio Mattarella attendeva arriva.
Dopo una giornata di riunioni al vertice, incontri tra leader di partito e bocche cucitissime. Il veto di Nicola Zingaretti sul premier uscente cade proprio mentre il presidente del Consiglio torna di fretta a Roma dal G7 di Biarritz per partecipare a un colloquio a tre, a Palazzo Chigi, con i capi delle due forze quasi alleate.
Ma nonostante l’entusiasmo, sono ancora tante le caselle pesanti da definire nel futuro esecutivo. Dettagli che potrebbero ancora far saltare tutto all’ultimo minuto, mentre Matteo Salvini continua a osservare ogni manovra dal Viminale, provando a rianimare un forno sempre più freddo. Soprattutto perché, nei corridoi e sulle chat Whatsapp, comincia già a circolare la “rosa” dei possibili futuri ministri.
Insieme a Conte si salva anche Luigi Di Maio, ma probabilmente l’ex vice premier giallo- verde dovrà traslocare: si parla della Farnesina. Un incarico di prestigio, certo, ma anche un modo per tenere lontano il capo politico grillino dai dicasteri economici.
Da definire ancora la figura del vice presidente del Consiglio. Il M5S vorrebbe riproporre lo schema già sperimentato con la Lega: due, un grillino e un dem. Ma dal Nazareno non sembrano affatto convinti della soluzione e spingono per un unico incarico ad Andrea Orlando. Comunque vada, Di Maio vorrebbe confermare alcuni nomi della “squadra uscente”, a cominciare dai fedelissimi: Riccardo Frraccaro e Alfonso Bonafede.
Il primo però non rientra però nei piani del Pd, o meglio, non rientra nei piani di Zingaretti il ministero che si trova a dirigere. Oltre a essere responsabili dei Rapporti col Parlamento, infatti, Fraccaro ha la delega alla Democrazia diretta, un concetto che il segretario dem ha espulso dal dibattito, inserendo tra i 5 punti programmatici la «centralità del Parlamento». Condizione a quanto pare digerita dai vertici pentastellati ma ancora non sottoposta al giudizio della base grillina. Che, per ironia della sorte, potrebbe ancora sabotare l’intesa con un voto sulla piattaforma Rousseu, già in programma ma non ancora calenderizzato.
Il ricorso agli iscritti è fortemente caldeggiato da Davide Casalggio, proprietario della piattaforma, ma «i tempi sono strettissimi», obiettano molti parlamentari, ragion per cui «servirebbe una deroga al regolamento» che prevede l’obbligo di annuncio sul Blog delle Stelle almeno 24 ore prima.
Oltre alla ratifica dell’accordo coi dem sarebbero messi ai voti i 10 punti illustrati da Luigi Di Maio al termine del primo giro di consultazioni ed eventualmente anche la premiership di Giuseppe Conte. E poi ci sono gli altri ruoli chiave.
Il posto di Guardasigilli, invece, potrebbe toccare a Liberi e uguali, l’altra formazione che si appresta a entrare in maggioranza. Se questa eventualità fosse confermata, Di Maio perderebbe non solo un compagno fidato che ha già avviato la riforma della Giustizia, ma dovrebbe rinunciare a uno dei ministeri chiave della storia pentastellata.
I dettagli della trattativa saranno più chiari domani, quando le delegazioni dei due partiti saliranno al Colle. Subito dopo, Pd e Movimento 5 Stelle riuniranno gli organismi dirigenti: la direzione, il primo, l’assemblea degli eletti i secondi. Ma per quell’ora il Capo dello Stato avrà già un quadro molto più chiaro.