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Eppure, la risposta perentoria dell’esponente renziano non sembra corrispondere agli umori di tutto il Partito democratico. Poche ore prima, il reggente Maurizio Martina aveva infatti definito «difficile» un’intesa coi 5 Stelle, rimodulando l’iniziale chiusura senza “se” e senza “ma” certificata dal voto in direzione. E pur attentissimo a non stravolgere il precario equilibrio interno al partito, Martina non sembra intenzionato a chiudere il canale di comunicazione col leader del Movimento 5 Stelle. Anzi, l’unico scenario che il traghettatore dem esclude a priori è quello di un accordo col centrodestra a trazione leghista. «Ci sono punti sostanziali di differenza tra noi e loro», spiega Martina, che poi argomenta con una serie di esempi: Posso fare qualche esempio: «La questione dei dazi di queste settimane, che sono sempre stati sostenuti da Salvini: noi non possiamo fare da stampella a governi che danno seguito a questa prospettiva». Ma non solo. «A giugno si discuterà il Trattato di Dublino. La destra ha tenuto posizioni molto differenti su questo tema, la Lega votò contro. Non vedo punti in comune nel confronto sui temi».
Molto più sfumate, invece, le distanze dai grillini, con i quali il ministro vede delle differenze di merito. «Ho visto in questi giorni post elezioni un ipertatticismo, figlio di tempi che non si vedevano da un bel po’. Noi rappresentiamo l’alternativa al centrodestra e anche a diverse proposte di merito dei Cinquestelle», dice Martina, secondo cui il percorso per arrivare a un’intesa col Movimento appare dunque «molto difficile». Ma a differenza di molti suoi compagni di partito, il ministro non si sfrega le mani al pensiero di un abbraccio sovranista tra Di Maio e Salvini. Anzi, «non auspico un governo M5s-Lega né tantomeno tifo per un voto anticipato. Dico che l’esito elettorale del 4 marzo ci consegna una funzione, quella di stare all’opposizione». Ed è a questo punto del discorso che i “se” e i “ma” del segretario protempore prendono corpo. «Questo non significa isolarci o metterci in freezer», dice. «Dobbiamo dare battaglia in Parlamento, ricostruire la sinistra, ripartire dagli errori commessi riconoscendo però il lavoro fatto». Il cammino per la formazione del nuovo governo, del resto, è ancora lungo. In mezzo, ci sono le consultazioni delle varie forze politiche davanti al Capo dello Stato che potrebbero protrarsi molto più del previsto. «Abbiamo un impegno sancito unitariamente con la nostra direzione. Sentiremo il Presidente e se ci saranno indicazioni non saremo insensibili». Tradotto: solo Mattarella potrebbe convincere i renziani a cambiare atteggiamento, non resta che aspettare e farsi trovare pronti al momento opportuno. Anche perché, entro aprile, il Pd potrebbe avere un nuovo segretario. E un’altra linea, se il presidente Matteo Orfini convocasse l’assemblea nazionale entro la fine del mese, come da impegni presi, «anche perchè ci sono delle indicazioni statutarie da seguire», spiega. «Avevamo detto che l’avremmo convocata dopo le consultazioni, le consultazioni sono giovedì...», dice.
Ma il tango, per citare Beppe Grillo, si balla in coppia. E la politica dei due forni pentastellata di certo non facilita le mediazioni interne al Pd.
LA PROPOSTA DEL CAPO POLITICO ALLA VIGILIA DELLE CONSULTAZIONI AL QUIRINALE: «UN CONTRATTO DI GOVERNO COME SI FA IN GERMANIA, SI FA CIÒ CHE C’È SCRITTO, QUELLO CHE NON C’È SCRITTO NON SI FA»