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Trump
Dice Chris Columbus, regista di Mamma ho riperso l’aereo, che all’epoca Donald Trump fece il «bullo», che pretese di apparire nel film in cambio dell’autorizzazione a girare una scena nella hall dell’hotel Plaza di New York, all’epoca di sua proprietà. Non avrebbe mai creduto, The Donald, che quel cameo sarebbe un giorno stato cancellato in seguito a una “petizione online” sottoscritta peraltro anche dal protagonista Macaulay Culkin che si è detto «entisasta» dell’iniziativa.
Dopo essere stato bandito da ogni social network del pianeta il presidente uscente degli Stati Uniti Donald Trump rischia ora di sparire anche da decine di pellicole, tra film e serie tv, in cui appare quasi sempre nella parte di se stesso.
Una lista impressionante di comparsate e cameo, dal Principe di Bel Air con un giovanissimo Will Smith a Sex in city, da Zoolander a Celebrity di Woody Allen, passando per la sitcom La Tata e la commedia Two weeks notice con Hugh Grant e Sandra Bullock giusto per citare i lavori più noti.
Prima di approdare alla Casa Bianca squadernando la vita politica americana e planetaria, Donald Trump non era solo un ricco e famoso imprenditore newyorkese ma una vera e propria icona pop, citato dalle pubblicità, evocato dai più seguiti presentatori tv, invitato nei reality show, protagonista di barzellette e modi di dire, testimonial di concerti, serate di gala, incontri di boxe e di wrestling, un’icona un po’ trash e pacchiana ma in fondo accettata dagli americani come una parte della cultura popolare del Paese.
In appena quattro anni quell’ingombrante imprenditore si è trasformato in un “mostro”, nel nemico pubblico numero uno, una specie di supercattivo dei fumetti Marvel, un Lex Luthor della quinta strada o un Joker miliardario, specialmente adesso che è naufragato nel basso impero di una presidenza fatta a pezzi dal suo smisurato ego e dalla determinazione degli oppositori.
La doppia procedura di impeachment che aleggia sulla testa di Donald Trump, le accuse di eversione e incitamento all’insurrezione, lo spirito di rappresaglia dei suoi tanti avversari, la frustrazione accumulata durante il suo mandato, oltre naturalmente ai modi intrattabili dello stesso tycoon, sono tutti elementi che hanno contribuito alla sua demolizione che ora si affina nella sistematica opera di dannatio memoriae.
Un po’ come accadeva alle effigi dei faraoni deceduti che nellantico Egitto venivano fatte distruggere dai loro successori perché credenza voleva che le vestigia degli antichi sovrani contenessero «una forza spirituale che doveva essere disattivata con la distruzione» per citare le parole dell’archeologo americano Edward Bleiberg.
Deve averne moltissima di “forza spirituale” Donald Trump che non viene semplicemente contrastato dal punto di vista politico, perché non basta averlo sconfitto alle elezioni e probabilmente interrotto per sempre i suoi sogni di potere, Donald Trump deve sparire. Con un colpo di gomma o di photoshop, fatto fuori dal ritocco digitale inghiottito dallo sfondo dello schermo come un incubo da quale ci si è svegliati e che si dissolvono al mattino. Lui e soprattutto la sua immagine, Neanche Adolf Hitler o Osama bin Laden hanno subito un simile trattamento, la cancel culture che dilaga oltreoceano sembra averli risparmiati per concentrarsi sulla cattiva coscienza della nazione, in un bizzarro esercizio di psicanalisi collettiva che passa per il tritacarne del metoo, per l’abbattimento delle statue degli antichi colonizzatori come Cristoforo Colombo fino alla crociata iconoclasta di Hollywood, l’America è impegnata in un bellicoso regolamento di conti con se stessa, in un corpo a corpo con la sua storia e i suoi demoni.
E lo fa con l’ irruenza puerile tipica della sua cultura, intrecciando vendetta e politically correct, nell’illusione che tenere “lontano dagli occhi” i fantasmi del suo passato lontano e recente possa servire alla sua evoluzione sociale e culturale, come i bambini che si tappano le orecchie per non ascoltare un rimprovero, o cacciano via il “male” mettendo la testa sotto il cuscino.
La distruzione dei simboli non è un prurito postmoderno, ma una pratica che ci accompagna dall’alba delle civiltà, tratto distintivo delle società complesse, che provenga dal “basso” o che sia promossa dalle élite. Ma in pochi potevano pensare che sarebbe diventata uno strumento ordinario di eliminazione di un avversario politico che, per quanto sgradevole e divisivo, non è certo un satrapo o un sadico colonnello di una giunta militare sudamericana. Nella mente scorrono ancora le immagini dell’abbattimento dei monumenti dei dittatori come quello di Saddam Hussein a Baghdad o delle statue di Stalin dopo l’implosione del socialismo reale. Momenti emblematici del cambiamento violento che si abbatteva su quelle società al di là della strumentalizzazione politica e mediatica.
Oggi basta il capriccio di un produttore di Hollywood, il fastidio di un attore in disgrazia. una sciatta petizione promossa dal popolo di internet o la pressione di qualche intellettuale annoiato per assegnare la condanna dell’oblio.