PHOTO
«Oggi non esistono ideali. Sono stato messo al mondo in un ordine distrutto, in un paesaggio distrutto, in un popolo distrutto, in una società distrutta. E non volevo introdurre un nuovo ordine. Avevo visto fin troppi cosiddetti ordini»: le parole del pittore Hans-Georg Bruno Kern – che nel 1961 assunse il cognome Baselitz dal toponomimo della città natale – scandiscono lo spirito costitutivo e paradigmatico che informa la mostra Georg Baselitz. Gli eroi, fino al 18 giugno al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Curata da Max Hollein, direttore del San Francisco Museum of Fine Arts, e da Daniela Lancioni, curatrice senior del Palazzo delle Esposizioni, l'esposizione consta di circa settanta lavori e riunisce, in sette grandi sale, il gruppo di Eroi e Nuovi tipi, dipinti tra il 1965 e il 1966, alcune loro rivisitazioni realizzate dopo il Duemila dal titolo esplicativo – Remix – e una selezione di disegni e xilografie sullo stesso soggetto nonché dei cosiddetti “quadri fratturati” – tra cui Primo quadro fratturato – Il nuovo tipo (Pittore con il cappotto) e Tre strisce – Il pittore con il cappotto (secondo quadro fratturato), entrambi del 1966. Cresciuto nella Germania Democratica e trasferitosi nella Germania Federale prima della costruzione del Muro di Berlino per frequentare l'Accademia di Belle Arti – dalla quale venne espulso con l'accusa di “immaturità sociopolitica” in seguito al rifiuto di lavorare in fabbrica durante le vacanze estive – il giovane Georg Baselitz esperisce, nella Sassonia distrutta dalla guerra, l'annichilimento di un intero sistema valoriale che comportò da una parte la mancata acquisizione di una netta demarcazione identitaria e dall'altra un senso di straniamento nei confronti di un ambiente ritenuto sbagliato quando non apertamente ostile. In tal contesto e nell'arco di un anno venne approntata la serie degli “Heldenbilder”, le “immagini di eroi”, costituita da sessanta dipinti, centotrenta disegni e trentotto stampe, cui l'artista, all'epoca appena ventisettenne, si dedicò con furore creativo senza pari. La figurazione riveste un'importanza nodale, in quanto, come evidenziato da Baselitz stesso, «senza la soggettività dell'artista, senza la preponderanza della figura il quadro non può essere realizzato». Gli eroi rappresentati mantengono una dimensione significativamente ambigua, non riflettendo l'iconografia epica e celebrativa che solitamente si accompagna alle loro raffigurazioni più ordinarie: figure colossali dal capo minuto. Queste, ammantate di uniformi lacere a suggerire un residuo di marzialità, feriti e vulnerabili strumenti di un'autorità dalla quale si affrancano proprio in virtù di un'acuta consapevolezza del proprio doloroso vissuto, accennando a uno stentato riscatto individuale e a una possibile catarsi.
Ai loro piedi e alle loro spalle si addensano i segni della catastrofe – una bandiera a brandelli, una casa che brucia, rovine di un monumento – mentre alcuni oggetti – giochi di bambini, carri contadini – rimandano a una dimensione più intima e segreta. Distante dalle tendenze avanguardistiche predominanti del periodo, dall'espressionismo astratto francese o americano come dall'arte informale tedesca, Baselitz esprime anche in ambito estetico il proprio isolamento da schemi e ordini prevalenti in favore di modularità più personali e dissonanti, in certo modo ispirate all'arte manierista, sulla cui importanza ebbe a riflettere durante il soggiorno fiorentino – consumato nel 1965 in seguito a una borsa di studio conferitagli da Villa Romana –, quando il capoluogo toscano era centro propulsore di un'accorta rivalutazione del Manierismo. «Gli “Eroi” – evidenzia il curatore Max Hollein – non sono manieristici soltanto nei loro aspetti formali – nella scelta e nella costellazione dei colori, nella distorsione delle proporzioni delle figure – bensì anche nel messaggio di fondo: smascherare il mondo con il suo ordine apparente, adottando una prospettiva inquietante e introspettiva, e farlo vacillare per necessità intrinseca, per poi lasciare spazio a una forza e a un eventuale modo di agire nuovi». Pietra miliare dell'arte internazionale, il ciclo degli Eroi, pur se legato nella sua genesi a un certo contesto storico-politico, mantiene inalterato tutto il proprio potenziale espressivo. «Gli “Eroi” di Baselitz – osserva Hollein – sono oggi immagini perenni di e per una generazione giovane. Mentre il background storico della loro creazione e la ribellione dell'artista passano lentamente in secondo piano, essi simboleggiano oggi ancora più di prima la condizione di chi, con malinconia, si lascia alle spalle qualcosa, di chi nega qualsiasi ordine e di chi, ferito, si ribella». Oggi, più che al momento della loro realizzazione, questi lavori risultano essere attuali e apprezzati. «Ho una carriera alle spalle – ricorda Baselitz – iniziata piuttosto presto. Questi quadri nel 1965 non ebbero successo. Il motivo risiede nel contenuto di queste opere. La cultura di allora si era liberata di questi Eroi, mentre adesso i tempi sono cambiati ed essi sono tornati ad essere attuali».