PHOTO
Britain's Prime Minister Rishi Sunak addresses the media at Downing Street in London, on March 1, 2024. Britain’s main opposition parties are demanding that the Conservative government publish legal advice it has received on whether Israel has broken international humanitarian law during the war in Gaza. They say the U.K. should ban weapons sales to Israel if the law has been broken. (AP Photo/Alberto Pezzali)
In Gran Bretagna gli avvocati scendono in campo per far pressione sul governo del conservatore Sunak perché smetta di fornire armi a Israele, sospettato di commetere crimini di guerra a Gaza. Oltre 600 legali, tra cui ex giudici della Corte Suprema hanno firmato una lettera aperta al Primo Ministro; la missiva è arrivata dopo che sette operatori umanitari della ong World Central Kitchen (WCK), tra cui i tre britannici, sono stati uccisi in un attacco israeliano lunedì scorso. I firmatari della lettera pubblicata mercoledì sera, tra cui l'ex presidente della Corte Suprema Lady Hale, affermano chiaramente che il peggioramento della situazione a Gaza e la conclusione della Corte Internazionale di Giustizia circa un rischio plausibile di genocidio impongono al Regno Unito di sospendere la vendita di armi. Nella lettera gli avvocati dicono che si accolgono «con favore gli appelli sempre più forti da parte del governo per la cessazione dei combattimenti e l'ingresso senza ostacoli a Gaza dell'assistenza umanitaria» ma che «continuare contemporaneamente a fornire sistemi d'arma a Israele e mantenere le minacce di sospendere gli aiuti del Regno Unito all'UNRWA è significativamente al di sotto degli obblighi ai sensi del diritto internazionale».
L'iniziativa ha preso il via dalla denuncia di Aamer Anwar, un avvocato per i diritti umani. Secondo il legale coloro che sono al governo hanno le mani piene di sangue. Non solo il Regno Unito, ma anche gli Stati Uniti. L'accusa al di là di una ribellione etica potrebbe essere supportata anche dai fatti, nonostante lo scontro tra Biden e Netanyahu proprio sul massacro degli operatori umanitari, Washington ha approvato il trasferimento di almeno duemila bombe nel giorno della strage. Anwar ha avvertito che se il governo britannico non darà seguito alle richieste della lettera, non solo quella di sospendere l'esportazione di armi, ma anche di influenzare un cessate il fuoco sicuro a Gaza e in Cisgiordania e garantire il rilascio degli ostaggi, gli avvocati firmatari intraprenderanno un'azione legale.
La presa di posizione dei legali britannici ha immediatamente avuto riflessi politici, il laburista (cancelliere ombra) Rachel Reeves ha invitato il governo a pubblicare urgentemente i suoi rapporti (consulenze legali) che descrivono in dettaglio per cosa vengono utilizzate le armi esportate dal Regno Unito. Reeves ha spiegato che «la legge del Regno Unito è molto chiara sul fatto che se c'è il rischio che le esportazioni di armi siano utilizzate in un modo che viola il diritto internazionale umanitario, quelle esportazioni di armi non possono andare avanti».
Il contributo del mondo dei legali pero non si ferma alla sola Gran Bretagna, avvocati, giudici e esperti forensi anche di altri paesi stanno cercando di contribuire almeno a un attenuazione del conflitto riaffer-mando il primato del diritto. In Italia, il 5 aprile scorso infatti, è stato depositato un ricorso civile al Tribunale di Roma per chiedere un intervento urgente della magistratura che vieti al governo italiano di essere complice con le violazioni di diritti umani da parte delle autorità israeliane a Gaza, ivi compreso l’ulteriore trasporto e vendita di armi. Il ricorso, presentato dai legali Stefano Bertone, Marco Bona, Gianluca Vitale e Emanuele D'Amico dell Ordine degli Avvocati di Torino, ha preso le mosse dalla vicenda di un collega palestinese, Salahaldin, che ha subito i pesantissimi effetti dei bombardamenti su Gaza perdendo diversi familiari. Con grande pericolo è riuscito a mettere in salvo i figli e a fuggire anch'esso, ma continua ad avere altri congiunti a rischio della vita. L'azione legale dunque afferma che l'Italia ha l'obbligo giuridico, ai sensi del diritto internazionale, di esercitare pressioni su coloro che si ritiene stiano commettendo crimini contro l’umanità, ai sensi, tra l'altro, della Convenzione di Ginevra contro il genocidio. La causa elenca violazioni specifiche che si ritiene siano state commesse dall'Italia, e cioè anche in questo caso la vendita di armamenti. Al Tribunale si chiede dunque di ordinare il divieto di stipulare nuovi contratti, l'interdizione dello spazio aereo italiano per qualsiasi uso che possa essere correlato al trasferimento di armi e intelligence a Israele; di partecipare a tutte le votazioni in sede ONU nonché di Consiglio Europeo e di ogni altro organismo internazionale che risponda ai requisiti dell’art. 11 della Costituzione italiana, finalizzate a far cessare incondizionatamente le operazioni militari nella Striscia di Gaza. Di ripristinare i finanziamenti all’UNRWA.