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C’è una storia segreta dell'emergenza pandemia in Italia, inconfessata perché inconfessabile anche se spesso evidente persino ai più ingenui: è la storia di come gli abituali e ordinari calcoli politici abbiano inciso e a volte orientato, con conseguenze nefaste, le decisioni in una fase invece emergenziale e straordinaria. L'ultimo esempio in ordine di tempo, ma si può scommettere che molti altri ne seguiranno, è l'uso politico della strategia seguita dalla Regione Lombardia. Nel mirino della politica ma forse anche della magistratura, più che il presidente Fontana, c'è palesemente la Lega, anzi direttamente Matteo Salvini.
La Lombardia è sotto accusa in quanto sistema sanitario fondato sulla privatizzazione e soprattutto per la decisione di inviare i positivi dismessi dagli ospedali nelle Rsa, con le note conseguenze tragiche. Il primo appunto è fondato, ma andrebbe messo in prospettiva. La Lombardia di Formigoni aveva adottato un sistema basato sull'ospedalizzazione e sul ricorso ai privati studiato per la cura dei casi individuali e su quel piano aveva rappresentato sino allo scoppio della pandemia una sorta di eccellenza riconosciuta fra le Regioni italiane. Quel sistema è però del tutto controindicato se deve affrontare non malattie individuali ma “di comunità” come è il Covid- 19.
Se dunque è giusto mettere all'indice una sistema sanitario che si è rivelato sguarnito di fronte a un'emergenza imprevista ma non imprevedibile e se la scelta di delegare alle Regioni e non allo Stato centrale la gestione della Sanità ha rivelato in questo caso tutti i suoi limiti, la vicenda andrebbe contestualizzata, inquadrata nella generale mancanza di una strategia previdente per fronteggiare le emergenze sanitarie di comunità e nel pessimo federalismo varato nel 2001 con la riforma costituzionale voluta, o più precisamente imposta nell'ultimissimo scorcio di legislatura e con un pugno di voti di maggioranza, dal centrosinistra.
La stessa decisione di spedire i positivi de- ospedalizzati nelle Sar va inquadrata nel contesto del momento tragico che la Lombardia stava passando, con i posti in terapia intensiva esauriti, gli ospedali al collasso, i medici messi di fronte alla scelta tra chi provare a salvare e chi sacrificare, i tecnici molto più confusi e contraddittori di quanto non appaia oggi. Non si tratta di assolvere o di condannare in anticipo. La vicenda è torbida e chiarirla con tutta la rigidità del caso è un obbligo. Ma è sin troppo evidente che in ballo, oltre a questa esigenza ineludibile sia sul piano della giustizia che su quello penale, c'è anche un preciso obiettivo politico: colpire e affondare l'intero modello leghista.
Non che dall'altro lato della barricata le cose stiano messe diversamente. Lega e FdI si preparano vistosamente ad aprire il fuoco sul governo centrale, appena il decorso della crisi sanitaria lo permetterà, rinfacciando al governo gli errori certamente commessi ma che, altrettanto certamente, andrebbero inquadrati nel contesto di una tempesta violentissima e imprevista, che ha colto i governi, non solo quello di Roma ma quasi tutti, del tutto impreparati. Altrettanto evidente è la tattica di Salvini, che modifica la sue richieste, spesso capovolgendole, a seconda delle decisioni del governo: pronto a chiedere più rigidità quando il governo allenta la rigidità delle norme come a invocare l'allentamento se, al contrario, il governo sceglie di stringere le maglie. Questa tattica è stata determinante nella prima fase dell'emergenza, quando le decisioni del governo sono state puntualmente condizionate e spesso subordinate all'esigenza di parare i colpi dell'opposizione. Il disastro di quella prima fase è sì riconducibile alle preoccupazioni economiche e alle pressioni sciagurate delle aziende per evitare le zone rosse, ma anche, in egual misura, al rimpiattino politico- propagandistico tra maggioranza e opposizione.
Quel rimpiattino prosegue a tutt'oggi ed è all'origine del caos che circonda la Fase 2, con una moltiplicazione di centri decisionali le cui conseguenze in termine di confusione sia nella linea di comando che nella comunicazione potrebbero rivelarsi esiziali. La maggioranza accusa senza mezzi termini di “usare” le Regioni che amministra in funzione antigovernativa ed è un'accusa nella quale c'è certamente del vero. Proprio per evitare rischi del genere, oltre a quello di una temibile guerriglia parlamentare e all'immagine divisa che si offre al mondo in una fase di estrema delicatezza, il Quirinale aveva insistito a lungo perché si costruisse una linea di dialogo tra governo e opposizione, quella “cabina di regia” comune che è fallita ancora prima di partire.
Il fallimento, però, non va addebitato all'opposizione. I 5S e lo stesso Conte hanno fatto quanto potevano per evitare che il dialogo decollasse e anche in questo caso in base a un calcolo politico. Alla vigilia della crisi Conte era nel fuoco incrociato di Salvini e Renzi, entrambi decisi a sloggiarlo da palazzo Chigi. Il virus ha sospeso l'offensiva senza per questo cassarla definitivamente. Il premier e i 5S hanno intravisto nella “cabina di regia” una minaccia per la stabilità della maggioranza e per la permanenza di Conte a palazzo Chigi. Considerazione che ha avuto subito la meglio sui suggerimenti del capo dello Stato come sull'opportunità di affrontare la crisi più grave dal dopoguerra in poi senza scannarsi a vicenda.