Fame, sete, malattie, privazioni, lutti, distruzione. Questi potrebbero essere i sentimenti che hanno portato i gazawi a scendere in strada, per chiedere che Hamas abbandoni il governo della striscia. La rottura del cessate il fuoco e la ripresa dei pesanti attacchi israeliani hanno avuto un effetto devastante sui cittadini palestinesi, già decimati e provati da più di due anni di guerra. Le manifestazioni si sono svolte ieri nei campi profughi Beit Lahia, Jabalia e Khan Junis, e si sono ripetute oggi nel quartiere Shenjaiya di Gaza city, dove i residenti hanno bruciato pneumatici e gridato slogan come “Hamas fuori dalla striscia”.

"Tutta la popolazione di Gaza si rivolga ai propri anziani, ai notabili affinché tutti scendano in piazza domani per chiedere la fine della guerra e del governo della milizia di Hamas”, è l’appello lanciato dagli organizzatori delle proteste e rimbalzato sui social, insieme ai video dei cortei di protesta.

Sami Abu Zuhri, portavoce di Hamas ha bollato le proteste come ‘megafono di Israele’, accusando implicitamente i manifestanti di stare tradendo la causa palestinese. Osama Hamdan, alto funzionario di Hamas che vive all’estero, ha accusato Israele di aver fomentato le proteste. Hamdan è stato preso di mira dalle contestazioni dei manifestanti, che gli hanno recriminato l’adozione della ‘linea dura palestinese’, al sicuro al di fuori dei confini della striscia. I media presenti a Gaza, legati alla formazione islamista, non hanno dato copertura delle proteste e della dispersione operata dai miliziani di Hamas, avvenuta nella giornata di martedì.

Rapace il Ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha colto l’occasione per soffiare sul fuoco delle contestazioni: “Presto l'Idf opererà con forza in altre zone di Gaza, sarete costretti a evacuare e perderete ancora più territorio. I piani sono già approvati”. Katz ha esortato i cittadini palestinesi ad ampliare le proteste e aumentare la pressione sul governo islamista. “Chiedete la rimozione di Hamas da Gaza e il rilascio immediato di tutti gli ostaggi israeliani. È l'unico modo per fermare la guerra”. 

“Le manifestazioni nella Striscia di Gaza sono un grido dei residenti contro le politiche di Hamas”, è quanto ha affermato Mahmoud Al Habash, consigliere del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), “dobbiamo concentrarci sulla rimozione di Hamas dal potere, suggerisco all’organizzazione di ascoltare il popolo palestinese a Gaza”. L’Anp è l’organizzazione nata nel 1993 dai Trattati di Oslo, firmati dall’allora leader dell’OLP, Yasser Arafat e dal premier israeliano Yitzhak Rabin, per dare alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza un limitato autogoverno. Sia gli accordi che il reciproco riconoscimento tra OLP e Israele sono stati condannati da Hamas.

Secondo un rapporto di Humans Rights Watch del 2018, frutto di due anni di indagini nella striscia e in Cisgiordania, entrambe le organizzazioni (Hamas e Anp) si renderebbero responsabili di arresti arbitrari, abusi e torture ai danni di attivisti, giornalisti, manifestanti, con l’obiettivo di reprimere e dissuadere ogni forma di dissenso.

Non è la prima volta che Hamas è oggetto di critiche pubbliche da parte degli stessi palestinesi. A inizio luglio del 2024 uscì la notizia del rapimento e del brutale pestaggio di Amin Abed, già arrestato diverse volte dalle forze di sicurezza di Hamas prima dell’ultimo conflitto. Abed, durante il sequestro, è stato accusato di essere un ‘agente di Israele’ e un ‘traditore’ per aver criticato l’attacco del 7 ottobre e l’operato del Movimento per la liberazione islamica. Il giorno precedente al brutale pestaggio aveva accusato Hamas di “dividere il popolo palestinese” e di “annullare il suo sogno di avere uno stato”. Mentre in un’intervista alla BBC aveva invece dichiarato che “Hamas ha molti sostenitori fuori dei confini di Gaza, che siedono al fresco sotto i condizionatori nelle loro case confortevoli, che non hanno perso un figlio, una casa, una gamba o il futuro”.