L’ultimo presidio del diritto a Gaza City ormai è ridotto in macerie. Il 9 ottobre le bombe hanno colpito la sede principale dell’Ordine degli avvocati palestinesi, distruggendo quasi completamente l’edificio e tutti i documenti al suo interno. Diversi legali e un giudice sono morti nelle loro abitazioni durante i raid israeliani, secondo le notizie riportate dall’associazione forense. Che ora denuncia la grave violazione delle leggi e delle Convenzioni internazionali: colpire un’organizzazione sociale e non governativa che difende i diritti umani, e che certamente non rappresenta un obiettivo militare – scrivono gli avvocati – configura un crimine di guerra punibile secondo lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale del 17 luglio 1998, al quale la Palestina ha aderito nel 2015.

Per i legali, infatti, l’attacco all’Ordine, «un’associazione democraticamente eletta che rappresenta oltre 20mila avvocati», e che opera secondo lo Stato di diritto, costituisce «un atto deliberato volto a mettere a tacere e a terrorizzare gli avvocati per dissuaderli dall’esercizio della loro funzione in difesa del diritto del popolo palestinese a resistere all’oppressione, alla colonizzazione e all’apartheid con tutti i mezzi disponibili, facendo valere i propri diritti, che sono diritti umani riconosciuti dalle norme internazionali». «Questo attacco – prosegue la nota – va di pari passo con la “guerra totale” condotta sulla Striscia di Gaza dalle forze israeliane, che deliberatamente e sistematicamente mirano ad obiettivi civili seguendo la politica dichiarata dal governo israeliano, attraverso il suo primo ministro e il ministero della difesa, che hanno minacciato di commettere atti ostili equivalenti a un genocidio».

La risposta di Netanyauh all’offensiva condotta dalle milizie di Hamas sabato scorso, avrebbe quindi violato ogni principio di proporzionalità, secondo i legali. I quali mettono in fila tutte le violazioni rilevate secondo il diritto internazionale: prima di tutto l’articolo 53 della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949, che tutela i civili, e poi le disposizioni previste dalla Corte penale internazionale, che dal 2021 ha acquisito la giurisdizione sul territorio palestinese, Gaza compresa. L’attacco alla sede dell’Ordine palestinese, spiegano ancora i legali, rientra tra gli atti che lo Statuto di Roma punisce come crimini di guerra secondo l’articolo 8.2, che menziona tra gli obiettivi da tutelare anche gli edifici concepiti per scopo religioso, educativo, artistico, scientifico oppure umanitario.

Fondato nel luglio 1997 per decisione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), l’Ordine forense ha riunito le precedenti associazioni di avvocati e si è dotato di una legge professionale. Opera anche a Gerusalemme e a Ramallah, ma è a Gaza che svolge la sua principale attività per offrire assistenza legale gratuita e promuovere la cultura dello Stato di diritto nel territorio della Striscia. Nel 2003 si sono tenute le prime elezioni del consiglio composto da 15 membri, e nel 2012 è stata costruita la sede principale di Gaza City, affianco al ministero della Giustizia, per la quale l’Ordine paga regolarmente un affitto. L’edificio è stato costruito con estrema fatica negli anni, a causa delle continue interruzioni, grazie ai finanziamenti dell’Unione europea e degli stessi avvocati, che hanno investito ogni energia e risorsa nel progetto. In ultimo sopperendo alla mancanza costante di fornitura elettrica con dei pannelli solari installati lo scorso giugno.

Ora quel lavoro è andato semplicemente in fumo, risucchiato dalla guerra insieme al sogno di costruire una società fondata sul diritto. Chi pagherà per ripartire dalle macerie? Gli avvocati si appellano alle Nazioni unite e al procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Khan, affinché apra un’indagine sui crimini commessi dal governo israeliano e raccolga le prove di quanto avvenuto. Ma i difensori chiamano a raccolta anche i colleghi di tutto il mondo, dall’associazione internazionale degli avvocati all’Unione degli avvocati arabi, perché questo «atto criminale» sia condannato in maniera unanime e non debba ripetersi mai più.