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Giampiero Galeazzi
Rai Teche, il dipartimento della tv pubblica destinato alla conservazione dei beni prodotti da viale Mazzini, è uno straordinario luogo di conoscenza. Ci aiuta per esempio a capire com’è cambiato il giornalismo, anche il giornalismo sportivo. E chi volesse, potrebbe andarsi a guardare, per esempio, i servizi confezionati per la Domenica sportiva da un Giampiero Galeazzi giovane, rigoroso, asciutto, puntuale. Insomma, un professionista british. Poi sappiamo cosa è diventato l’inimitabile e purtroppo da oggi compianto telecronista Rai: un uragano, un amplificatore a diecimila watt della passione sportiva. Il suo capolavoro è la prima medaglia “mainstream” dei Fratelli Abbagnale nel canottaggio: Lucerna 1982. Un crescendo, davvero, la trama di una marcia trionfale. Ebbe talmente successo, quell’incredibile e impetuoso scandire dei colpi dei canottieri di Castellammare, che Galeazzi fu praticamente costretto a riproporre lo stesso stile e la stessa esaltante telecronaca in tutte le vittorie successive, non solo dei Fratelloni. Poi Galeazzi ha inventato un linguaggio alternativo, dimesso e ruggente, nel racconto del tennis: e chi li dimentica, i suoi pomeriggi a due voci con Adriano Panatta, la rivalità con i colleghi della tivù a pagamento Rino Tommasi e Gianni Clerici. Certo, col passare del tempo è diventato un’icona, con quel soprannome, “Bisteccone”, che prova a mettere insieme il suo fisico imponente con la forza della voce. Ed è vero che rispetto a quel sobrio cronista d’inizio carriera dev’essere stato folgorato da un’intuizione, oltre che da una sempre più assoluta padronanza del mezzo. Ma è impossibile resistere al paragone fra Galeazzi e la più recente generazione di telecronisti. In particolare quelli specializzati nel calcio, soprattutto se allenati alla scuola delle pay-tv, hanno a loro volta un’impostazione aggressiva, intensa, puntuale ma sempre modulata sui toni alti. È un tratto comune, adesso, in parte legato alla natura commerciale degli eventi. Galeazzi divenne il mattatore assoluto che oggi dobbiamo rimpiangere senza che nessuno glielo avesse chiesto. Inventò tutto da solo. Non aveva eguali alla Rai, non creò una scuola. Non perché le urla meravigliose a ogni colpo di remo facessero storcere il naso: semplicemente, era impossibile stargli dietro. Oggi l’enfasi va di moda, ma ci sono stati lustri in cui Giampiero Galeazzi è stato il solo a poter sfoggiare quello scintillante abito, che indossato da altri non avrebbe avuto senso. Ps: da tifoso del Napoli, sarò sempre grato a Giampiero per aver afferrato, il 10 maggio 1987, la sagoma impassibile di Ottavio Bianchi e urlato nel microfono: «17 e 47: Napoli Campione d’Italia, Bianchi! Napoli campione d’Italia!!!». Quegli istanti di gioia che mi accompagneranno per sempre sono ancora più belli anche grazie al maestro Galeazzi.