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«Un giorno, guardandoci indietro, ci chiederemo come siamo finiti a seguire un comico». Serenella Fucksia, senatrice eletta tra le fila del Movimento 5 Stelle e oggi nel gruppo misto, fa un bilancio di come il movimento sia cambiato, e di come l’amministrazione di Roma ne sia la cartina tornasole.
Senatrice, ma il problema è Virginia Raggi?
Virginia Raggi è l’espressione del problema che sta alla base del movimento. Lei aveva tutto per essere eletta: bella presenza, curriculum, telegenia. A mancare è stato tutto l’intorno: l’assenza di una classe dirigente, l’inadempienza nello scegliere in base al merito il personale e l’incapacità di produrre una visione per Roma. Gli stessi mali del movimento.
Quindi, dopo la vittoria schiacciante alle urne, è già finito l’idillio?
La Raggi si è circondata di coccodrilli, iene ed incapaci, persone che non sanno nemmeno fare le delibere e lasciano la Capitale senza un bilancio, sguarnita di fronte alle urgenze. Ora, poi, la sindaca sta subendo un logorante boicottaggio interno, perché ha rivendicato il proprio ruolo, mettendo in ombra alcune primedonne del Movimento e non lasciandosi manovrare a piacere.
Dopo l’arresto di Marra e le indagini sugli assessori, riaffiorano anche i sospetti sull’origine di questo successo...
Guardi, io sono sempre stata garantista e credo che le polemiche giudiziarie siano il meno, proprio come l’onestà deve essere un requisito scontato. Il punto è un altro: tutti sapevano che lo studio Previti- Sammarco da cui lei proviene le ha fatto da promotore della campagna elettorale, come tutti sapevano che la Raggi era appoggiata dalla destra romana. Lei è stata scelta secondo le logiche di marketing del movimento, secondo cui la sua immagine da ragazza della porta accanto funzionava molto meglio rispetto a quella di Marcello de Vito, con cui avrebbe- ro rischiato di perdere. Risultato: è stata candidata una persona che ha riprodotto le stesse dinamiche della vecchia politica, a partire dall’assunzione in Comune di figli, fratelli e parenti di parlamentari e collaboratori.
Una bocciatura su tutta la linea, quindi?
Le dico la verità, io e credo anche molti romani ci siamo, tutto sommato, affezionati a Virginia Raggi: la colpiscono da ogni lato e viene l’istinto di proteggerla. Inoltre la considero comunque la meno peggio rispetto alla media dei 5 Stelle. Penso addirittura che potrebbe essere una amministratrice presentabilissima, se solo venisse affiancata da uno staff capace. Io tifo Raggi, ma non vedo la luce in fondo al tunnel.
Per di più Raggi cammina su un filo sottile, almeno stando ai principi del movimento: lei sente aria di espulsione?
Il Movimento 5 Stelle non è basato sui principi, ma solo sugli interessi. Per questo, Raggi verrà espulsa solo in extremis se proprio la situazione non sarà più salvabile. Probabilmente, poi, decideranno di usarla come capro espiatorio mediatico, scaricando su di lei tutta la responsabilità dell’incapacità gestionale. La decisione, però, verrà presa in base al consenso e ai continui sondaggi commissionati da Casaleggio.
Eppure la parola «onestà» rieccheggia ancora nella sala Giulio Cesare...
Serve però altrettanta onestà intellettuale per valutarla: Virginia Raggi nasce da un malgoverno indifferenziato di destra e sinistra a Roma, che ha abituato i romani ad una città che non funziona e li ha portati a non fidarsi più della politica. Purtroppo, però, nel movimento l’onestà viene sventolata ma non praticata: i 5 Stelle hanno i difetti della vecchia politica - con lotte interne per poltrone e prebende - ma non i pregi, come l’esperienza amministrativa e una classe dirigente che sa far funzionare una città.
Il suo è un giudizio molto severo, non salva nulla del movimento?
Per me il Movimento 5 Stelle è stato un grande sogno. Ero stata attratta dall’entusiasmo dei giovani che partecipavano e dallo spirito genuino che riportava le persone ad interessarsi di politica. Pensi che io mi sono candidata perché non riuscivamo a riempire la lista per la mia circoscrizione elettorale. Il successo troppo rapido alle elezioni, però, ha ucciso quello spirito ed evidenziato tutti i limiti: nessuna selezione di classe dirigente, ma soprattutto uno sgomitamento di tutti contro tutti per un posto al sole.
Nonostante questo, l’impressione è che sia un successo destinato a ripetersi anche alla prossima tornata elettorale...
Il successo si ripeterà di certo, se non nascerà qualcosa di nuovo. Il Movimento 5 Stelle è come le spalline negli anni Ottanta: le mettevamo perchè erano di moda, ma oggi nessuno le indosserebbe più. Le mode senza sostanza passano velocemente, ma vengono sostituite solo da cose di qualità. L’antipolitica di Grillo si combatte solo con una politica alta, fatta di merito e competenza.
Lei vede esempi di questa politica alta?
Oggi è necessario ricostruire un’identità politica e la crisi attuale ha aperto praterie sconfinate. C’è spazio nella zona moderato- riformista, e il tentativo non completamente riuscito di Stefano Parisi è un esempio. Lì ho rivisto alcune idee iniziali del Movimento, però con competenza. Anche l’esperimento dei sindaci con Giuliano Pisapia ha aperto un campo molto interessante, rielaborando i principi del socialismo e del riformismo.
Lei ha votato la fiducia al governo Gentiloni: rientra in quest’ottica?
Io credo che il governo Renzi abbia tutto sommato fatto molte cose buone e penso all’occupazione, ai giovani e al sud. Alcuni provvedimenti messi in campo sono ancora da approvare e vanno portati a termine: la direzione imboccata era più che giusta e chiudere ora la legislatura significava buttare tutto. In quest’ottica ho dato la mia fiducia a Gentiloni, di cui ho apprezzato la volontà di riportare al centro il Parlamento, fermo restando che valuterò nel merito ogni provvedimento.
E vede anche qualche leader?
Io ho nostalgia della prima repubblica. Servirebbe una scuola politica, capace di formare persone anche al di là degli schieramento. Per fare qualche nome, però, Matteo Renzi mi piaceva molto.
E nel Movimento 5 Stelle?
Luigi Di Maio è poco più di un venditore di aspirapolveri. Alessandro Di Battista invece non è un politico, ma uno proiettato solo ad essere famoso.