Se la chiamata alle armi di Ursula von der Leyen sta creando contorcimenti e crisi esistenziali al partito democratico di Elly Schlein, nel resto d’Europa i membri del Pse, con i dovuti distinguo, si schierano senza grandi se e troppi ma, con la presidente della Commissione. Certo, l’aumento delle spese militari non può significare tagli brutali allo stato sociale e ai servizi essenziali, questo viene sottolineato con insistenza, ma nessuno intende alzare barricate contro il gigantesco piano di riarmo disegnato da von der Layen e tutti sono schierati dalla parte dell’Ucraina di Volodymyr Zelensky. Da Berlino a Parigi, passando per Madrid, il centrosinistra europeo avverte distintamente la minaccia di una Russia ringalluzzita dal feeling con l’amministrazione Trump e la volontà di entrambi di umiliare il vecchio continente. «È in gioco la nostra sicurezza, è un passaggio spartiacque, abbiamo il diritto di difenderci», le parole della presidente sono di fatto sottoscritte dai principali leader progressisti europei.

In Francia, unica potenza nucleare dell’Unione, i socialisti del segretario Olivier Faure ma soprattutto dell’eurodeputato ed astro nascente André Gluksmann sono esplicitamente pro-Kiev anche se chiedono di non sacrificare i fondi per scuola, sanità e transizione ecologica, non lontani dalla decisa linea di riarmo sostenuta dal presidente Emmanuel Macron; le uniche riserve espresse da Gluksmann sono di natura tecnica e non di merito, nel senso che ritiene più efficace una Difesa comune degli Stati membri dell’Ue che non piuttosto un riarmo delle singole nazioni. Di sicuro, come von der Leyen, considera alleanza tra Vladimir Putin e Donald Trump una minaccia quasi esistenziale per la democrazia europea. Molto diverse le posizioni della France insoumise di Jean Luc Mélenchon la quale difende un pacifismo più stereotipato e parla di «servilismo atlantico», collocandosi involontariamente sulla stessa trincea del Ressemblement national di Marine Le Pen che ha definito «una chimera» il riarmo dell’Europa.

La Germania da parte sua ha una lunga tradizione pacifista, soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale, che ha influenzato la politica estera e di difesa del paese. La Costituzione tedesca (Grundgesetz) e la cultura politica tedesca si sono sempre orientate verso una posizione di non militarizzazione e un approccio più diplomatico alle crisi internazionali. Tuttavia, l'invasione russa dell'Ucraina nel 2022 ha forzato un cambiamento significativo nella politica di difesa tedesca. L’ex cancelliere e leader della Spd Olaf Scholz, nonostante alcuni sbandamenti, ha annunciato durante il suo mandato una revisione della politica di difesa, presentando un piano che include un fondo speciale da 100 miliardi di euro per rafforzare le forze armate tedesche. E oggi è favorevole al piano della connazionale von der Leyen e alla revisione della Costituzione annunciata dal premier cristiano-democratico Merz che permetterà di andare a deficit per aumentare le spese militari. Questo segna un deciso cambiamento rispetto al passato, quando la Germania aveva mantenuto uno degli investimenti in difesa più bassi tra i paesi NATO.

Il partito socialista spagnolo guidato dal premier Pedro Sanchez, unica formazione di centrosinistra al governo in un grande paese europeo, non ha mai vacillato nell’appoggiare la causa ucraina e nel votare a favore degli aiuti militari per Kiev. Il partito riconosce che l’Europa ha bisogno di una politica di difesa più coesa e integrata per affrontare le sfide geostrategiche poste dalla nuova fase. In particolare, il Psoe è favorevole a un’Europa che non dipenda solo dalla NATO, ma che sviluppi anche una propria autonomia difensiva ed è sostanzialmente d’accordo con il piano da oltre 800 miliardi concepito da Bruxelles allo scopo di raddoppiare le spese per la Difesa. Come i compagni francese e tedeschi, anche Sanchez