È un terremoto politico che cambia radicalmente lo scenario per le presidenziali del 2027. La Corte penale di Parigi ha condannato Marine Le Pen a quattro anni di reclusione di cui due con la condizionale, due da scontare portando il braccialetto elettronico, a una multa di centomila euro e una sanzione di oltre due milioni per il partito.

Ma la conseguenza più pesante del verdetto pronunciato questa mattina è l’ineleggibilità di Le Pen per i prossimi cinque anni. L’avvocato Rodolphe Bosselut ha evocato «la criminalizzazione del diritto di difesa», spiegando che la Corte ha rimproverato alla sua cliente la richiesta della prescrizione e ha annunciato che ricorrerà in appello.

Per la presidente del tribunale Bénédicte de Perthuis, che leggendo la sentenza ne ha sottolineato «il ruolo fondamentale», la leader del Rassemblement National è al centro di un sistema di appropriazione indebita di fondi europei. Nel periodo in cui è stata deputata all’europarlamento, dal 2004 al 2017, ha assunto quattro assistenti fittizi, ossia militanti del Rn pagati con fondi comunitari. Per tutta la durata dei contratti gli assistenti non hanno mai svolto il proprio lavoro a Bruxelles dedicandosi unicamente alle attività del partito.

Le indagini, condotte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode, un organismo investigativo indipendente dell’Ue, ha rivelato che il capo di gabinetto Catherine Griset «avrebbe trascorso appena 740 minuti, ovvero circa dodici ore al Parlamento europeo, tra ottobre 2014 e agosto 2015». Tutto il resto del tempo Griset ha occupato l’ufficio di capo di gabinetto presso la sede dell’allora Front National di Nanterre, alla periferia di Parigi. Interrogata dai giudici Griset non ha potuto negare, si è difesa affermando di aver lavorato solo per Le Pen e non per il partito.

Tra le prove portate dall’accusa una lettera inviata a Le Pen dal tesoriere del Fn Wallerand de Saint-Just in cui si lamenta dei tanti debiti che gravano sul partito proponendo una soluzione drastica: «Il solo modo di uscirne è risparmiare usando i fondi del Parlamento europeo». Le Pen avrebbe poi chiesto a tutti gli europarlamentari del Fn di utilizzare un solo assistente e versare il resto dei fondi nelle casse del partito, circostanza confermata dalle testimonianze degli ex deputati frontisti Aymeric Chauprade e Sophie Montel.

«Una vendetta», secondo Marine che all’uscita del tribunale contesta la sentenza, invoca la mancanza di prove e si dice certa di ribaltare il verdetto nel processo di appello. Anche se avesse ragione lei, il problema però sono i tempi. Per istituire un nuovo processo ci vorrà più di un anno e, nel migliore dei casi, altri dodici mesi per terminare tutte le udienze di un caso complesso, sostanziato da decine e decine di testimonianze.

Mancherebbero a quel punto poche settimane al primo turno delle presidenziali e sarebbe di fatto impossibile lanciare la sua candidatura. Salvo colpi di scena, per la prima volta dal 1981 un membro della famiglia Le Pen non parteciperà alla corsa per l’Eliseo.

Ma l’estrema destra francese ha un formidabile piano B che si chiama Jordan Bardella, il “delfino” di Marine, predestinato naturale alla sua successione politica. Naturalmente Bardella si stringe attorno alla sua madrina, accusa i giudici parigini di pregiudizio politico parla di «attacco alla democrazia» e di «sgradevole cabala giudiziaria», ma sa perfettamente che, con l’uscita di scena dell’ingombrante leader nazionalista è giunto il suo momento.

Il profilo moderato, i modi educati, l’aria da bravo ragazzo, ne fanno il candidato ideale per una destra radicale che cerca consensi al centro e che spera di realizzare il sogno, fino a qualche anno fa ritenuto impossibile, di salire sul gradino più alto della République.