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di Paola Mirenda Ci sono sei membri del governo Philippe che potrebbero essere costretti a lasciare l’incarico lunedì. Tutto dipende da come andranno i ballottaggi di oggi, quando i francesi torneranno alle urne per il secondo turno delle elezioni legislative. I ministri e segretari di Stato in bilico - Economia, Affari Europei, Coesione territoriale, Oltremare, Relazioni con il Parlamento e Digitale - sono infatti anche candidati all’Assemblée e in caso di sconfitta, ha fatto sapere l’Eliseo, non conserveranno il posto al governo. A parte questo, il premier Edouard Philippe non ha nulla da temere: i candidati de La République en marche si avviano verso la maggioranza assoluta, che garantirà all’esecutivo una rapida approvazione del programma di Macron. Eppure questo secondo turno non è senza storia: i numeri finali indicheranno per i socialisti di Jean-Christophe Cambadélis, i frontisti di Marine Le Pen, i repubblicani di Bernard Accoyer e gli insoumises di Jean-Luc Mélenchon le mosse da giocare nelle prossime settimane. Si preparano a un simbolico funerale i militanti socialisti, già scioccati dal 9,5 per cento del primo turno e dai cento deputati uscenti che non hanno nemmeno conquistato il ballottaggio. Tra le prospettive future, anche quella di ripartire completamente da zero. “Ma non credo che cambiare nome al partito ci aiuterebbe”, ha detto intervistato da Bmftv Julien Dray, uno dei portavoce del Partito socialista. “Se togliamo quello, se togliamo la sede di Rue Solferino, smetteremo semplicemente di esistere”. La dèbacle socialista era prevista, ma le dimensioni della valanga che li ha investiti hanno lasciato sconcertati i militanti. Poche le speranze di avere più di trenta deputati, forse addirittura solo venti, su 63 candidati Ps ancora in lizza, di cui appena 11 hanno un margine di vantaggio sugli sfidanti. La France insoumise di Mélenchon ha fatto meglio dei socialisti, portando a casa il bottino di 63 ballottaggi, ma non conquisterà altrettanti deputati. La previsione più ottimista è di arrivare a 18, potendo così contare su un proprio gruppo parlamentare. “Il problema è che gli elettori preferiscono la guerra fredda con le urne e non ci votano”, ha ammesso Mélenchon nell’ultimo comizio a Marsiglia. L’astensione, che ha già segnato un record al primo turno, potrebbe aumentare domani: un sondaggio Odoxa per France Info segnala che il 53 per cento dei francesi non andrà a votare. E di fronte ai candidati macroniani, che hanno attirato elettori di destra e di sinistra, il bacino del non voto è il solo a cui poter attingere. Il Partito comunista francese può sperare invece in ben due candidati arrivati in testa al primo turno: André “Dedé” Chassaigne, deputato di Puy-de-Dôme e Pierre Dharrévill, candidato nella circoscrizione Bouches-du-Rhône. Ma il vero contendente di Macron e della sua République en marche sono Les Républicain (l’ex Ump di Nicolas Sarkozy, oggi guidato da Accoyer) , che si fronteggiano direttamente in ben 199 circoscrizioni. Quindici anni fa avevano 330 deputati, ora sperano di conservarne almeno 70. Per loro, al di là dei numeri definitivi - quelli che diranno se la loro è una sconfitta onorevole o una disfatta - si tratta di vedere quanti tra gli eletti saranno compatibili con il governo targato Macron. L’ombra di una scissione c’è, tra chi propone una linea rigida, virata a destra, e chi vuole invece avere un atteggiamento interlocutorio verso il premier Philippe, che sarà pure un ex socialista, ma è anche tra i fondatori dell’Ump ed ex portavoce di François Fillon, il candidato alle presidenziali de Les Républicain. Marine Le Pen, a cui il parlamento europeo ha tolto giovedì l’immunità, ha giocato nelle ultime ore la carta della vittima/eroina, sfruttando le rivelazioni della stampa sui potenziali obiettivi del duo di terroristi scoperto a Marsiglia qualche giorno prima delle presidenziali di aprile. All’epoca gli inquirenti non avevano fatto nomi, rafforzando però la sicurezza attorno a tutti i candidati presenti nella regione. Mercoledì il quotidiano di sinistra Libération ha svelato che Le Pen era tra i più probabili bersagli dei due. Con 120 circoscrizioni in cui duellare, il Front National rischia comunque di non portare a casa un risultato positivo: le diatribe interne al partito - personali, familiari ma soprattutto profondamente identitarie, come la questione Philippot - hanno disorientato l’elettorato incerto e polarizzato quello più politicizzato, portando a un astensionismo al di sopra della media degli altri partiti. Per adesso Marine Le Pen non ha ancora un avversario interno in grado di prendere il suo posto, ma una sconfitta sopra le previsioni non sarebbe priva di conseguenze.